Il ministro dello sport lancia un messaggio chiaro dalla Calabria: “Chi non rispetta le regole deve uscire dagli impianti. Serve impegno comune per un calcio pulito”
CATANZARO – Un messaggio forte, diretto e privo di ambiguità. In visita istituzionale a Catanzaro, il ministro per lo sport e i giovani Andrea Abodi ha affrontato senza giri di parole un tema tanto delicato quanto centrale per il futuro del calcio italiano: le infiltrazioni della criminalità organizzata nel tifo organizzato e, più in generale, il rispetto delle regole negli impianti sportivi.
Nel corso dell’incontro con la stampa, Abodi ha ribadito con fermezza che “non considero tifosi quelli che decidono di non rispettare le leggi e anche le norme sportive”. La posizione del ministro è chiara: il tifo, nelle sue forme sane e genuine, va ascoltato e compreso, ma ogni deviazione verso comportamenti violenti o collusi deve essere respinta con determinazione. “Gli stadi devono rappresentare la società decorosamente”, ha detto, ponendo l’accento su un concetto fondamentale: lo sport come specchio di civiltà e responsabilità condivisa.
Uno dei passaggi più significativi delle sue dichiarazioni è quello in cui ha chiamato direttamente in causa le società sportive, invitandole a non delegare: “Non dobbiamo pensare che tanto c’è sempre qualcuno che se ne sta occupando. Le società devono collaborare, non le lasceremo sole in quest’opera di selezione selettiva”. Parole che rivelano la volontà di coinvolgere attivamente club e istituzioni in un’azione di bonifica culturale, oltre che repressiva, del mondo sportivo.
Abodi, tuttavia, ha voluto distinguere con chiarezza tra il concetto generico di “curva” e quello, ben più complesso, delle comunità giovanili che animano il tifo: “Non credo al giudizio grossolano ‘le curve, gli ultrà…’. Quelle realtà giovanili vanno conosciute, ascoltate e rispettate, ma solo nella misura in cui esiste un rispetto reciproco”. Chi non si adegua alle regole, “esce non solo dalle curve, ma anche dallo stadio e dal palazzetto”.
Un altro snodo importante del suo intervento ha riguardato i rapporti tra club e soggetti legati alla criminalità: “Tesserati e società non devono avere alcun legame con chi appartiene alla categoria dei delinquenti. E chi sbaglia, paga”. Il messaggio è inequivocabile: il calcio non può essere rifugio né strumento per interessi opachi. E chi, anche all’interno del sistema sportivo, commette errori, deve risponderne in modo trasparente e coerente.
Ma il ministro non si è limitato a un discorso repressivo. Ha anche lasciato spazio alla speranza e alla fiducia nei percorsi di cambiamento: “Chi ha sbagliato e ha pagato, mi auguro che abbia compreso. Non siamo tutti uguali e chi opera correttamente va tutelato”. Una presa di posizione che cerca di difendere il calcio sano, quello dei valori, spesso messo sotto accusa generalizzata.
Infine, Abodi ha rivolto un invito diretto anche al mondo dell’informazione, chiedendo un supporto concreto alla narrazione del cambiamento in atto: “Mi auguro che anche da parte vostra questo impegno multidisciplinare e interistituzionale possa emergere. Vogliamo restituire al calcio la gioia del calcio”. Un’affermazione che racchiude l’intera visione del ministro: riportare lo sport alle sue radici, quelle dell’emozione condivisa, della competizione leale e della bellezza che nasce dal rispetto delle regole.
Dalla città dei Tre Colli, dunque, arriva un messaggio chiaro alla nazione sportiva: il calcio ha bisogno di responsabilità, pulizia e partecipazione attiva. Perché solo così, davvero, può tornare a essere ciò che tutti vorremmo: una festa per tutti, non un’arena per pochi.
Fonte: ANSA