Promo desktop
Dolci Emozioni
venerdì 19 Dicembre 2025

Don Lino Tiriolo, il prete che ha cucito il Catanzaro alla sua città

La scena è questa: spogliatoio che profuma di erba bagnata, maglie allineate come bandiere prima di una parata, tre “V” che spiccano sul petto. Come approfondito all’interno della rivista “Maria Con Te” Don Lino Tiriolo passa la mano sul colletto — quello che richiama il mantello di un vescovo — e sorride. È il sorriso di chi sa che una maglia non è solo tessuto e colori, ma un pezzo di storia da indossare. La nuova divisa del Catanzaro parla la lingua della città: San Vitaliano, il vento che soffia tra i tre colli, il velluto di una tradizione antica, l’Immacolata nella devozione popolare. Non è un vezzo grafico, è un ponte. E quel ponte, in società, ha un custode: il cappellano giallorosso.  

Il prete della porta accanto (anche quando la porta è un tornello)

Don Lino non fa scena. Lo incontri al Ceravolo con lo sguardo attento di chi ci tiene, senza bisogno di riflettori. Da anni è la guida spirituale del club: messe, una parola al momento giusto, la mano sulla spalla prima di scendere in campo. È cancelliere della curia, ma soprattutto un parroco che conosce volti e strade: nella sua chiesa — Santa Teresa dell’Osservanza — è custodita un’antica statua della Madonna della Salute che parla alle famiglie quanto uno striscione parla alla curva. È lì che capisci il senso del suo lavoro: unire, non dividere; tenere insieme la fede e il pallone con il filo buono dell’appartenenza.  

La nuova maglia ha dato voce a questo racconto. Nel design c’è una scelta: scrivere addosso ai ragazzi le parole di una preghiera a San Vitaliano — “Hai avuto la forza di andare avanti… di proseguire il tuo cammino” — come promemoria di resilienza nei giorni in cui il risultato pesa. Dettagli? Certo. Ma sono dettagli che diventano stile di gioco, perché quando il simbolo è giusto il gruppo lo sente.  

Tradizione che corre: tre “V”, un colletto, un’identità

Tre lettere sovrapposte, “VVV”: Vitaliano, Vento, Velluto. E, se vuoi, la V di Vergine. In un colpo solo la memoria religiosa, quella civile e quella artigiana della città. Nel tergisudore interno c’è stampata la sigla USCZ29: niente slogan di circostanza, ma un promemoria per chi l’US Catanzaro ce l’ha tatuato dentro, in Calabria come a mille chilometri di distanza. Floriano Noto lo ha detto chiaramente: ogni stagione la maglia deve raccontare chi siamo, non solo per cosa giochiamo. Don Lino ci ha messo il timbro: lo sport può farsi veicolo di valori e di fraternità, se a guidarlo c’è uno sguardo largo e una comunità che non lascia indietro i più fragili.  

Dietro quei segni c’è anche un pezzo di storia cittadina che non si piega alle intemperie. Basti pensare al busto di San Vitaliano rimasto intatto durante i bombardamenti del ’43, o alla processione del 16 luglio che attraversa il centro con la stessa naturalezza con cui la squadra attraversa il tunnel verso il campo: sono riti che tengono in piedi un’identità, e adesso camminano accanto ai ragazzi anche la domenica.  

Una benedizione che vale come un’uscita palla a terra

Il pregara con Don Lino non è una cerimonia, è un tempo breve che pesa. Non promette vittorie — quelle, nel calcio, non si promettono — ma ricorda per chi si gioca. E quando lo dici bene, con parole semplici, ti cambia la postura: ti fa difendere con un metro in più, ti fa scegliere la giocata pulita invece del lancio di paura. La squadra lo sente e la città pure. Perché il Catanzaro, oggi, è una somma di cose: il lavoro di campo di Aquilani, la visione del club, l’energia della gente. In mezzo, come un mediano silenzioso, c’è un parroco che tiene le distanze corte tra spogliatoio e città.

E allora quella maglia, che porta sul colletto la chiusura del mantello episcopale, diventa una carezza sulla nuca: “Cammina leggero, ma non camminare da solo”. È il messaggio che filtra anche dal materiale scelto — tessuto tecnico riciclato, attenzione al creato — segno che il club vuole stare nel proprio tempo senza tradire le radici.  


Non c’è bisogno di retorica per capirlo: al Catanzaro la fede non è bandiera sventolata a comodo, è grammatica quotidiana. Don Lino Tiriolo ci mette il cuore e la discrezione. I ragazzi la corsa. La città, come sempre, il fiato. E quando lo stadio si alza in un coro e il vento sul “Ceravolo” taglia la sera, quelle tre V sembrano un invito semplice: Vitaliano, Vento, Velluto… avanti insieme. Perché qui — lo sappiamo tutti — nessuno vince da solo.  

Articoli correlati

Ultimi articoli