La prima immagine che resta negli occhi è semplice e ruvida, da calcio di provincia che profuma di rivalità antica: il sole che cala sul “Marca”, gli spalti che borbottano, la palla che viaggia più dei pensieri. Cosenza da una parte, Catanzaro dall’altra. Derby d’esordio in Primavera 2, tensione in punta di scarpino. Finisce 1–0 per i rossoblù, decide un rigore di Randazzo al 61’. Ai giallorossi resta la sensazione di essersi presentati al tavolo giusto, ma senza la forchetta per affondare il primo boccone.
Un primo tempo accorto: possesso sì, varchi no
La squadra di Massimo Costantino entra con la testa sul compito: palleggio pulito, linee corte, idee chiare su come uscire dal pressing. Per lunghi tratti i giallorossi tengono il possesso, muovono il pallone da destra a sinistra, provano a legare tra mezzali e rifinitore. Il problema è la trequarti: lì il Cosenza di Antonio Gatto fa densità, chiude gli half-spaces e difende l’area con ordine, senza mai scomporsi. Il copione del primo tempo è questo: Catanzaro manovra, Cosenza respinge senza affanno. Pericoli veri? Pochi, da una parte e dall’altra. 0–0 all’intervallo, con la partita ancora tutta da scrivere.
L’episodio che la spacca: il rigore e la fatica che morde
La ripresa scivola via con un cambio d’inerzia. Il Catanzaro paga dazio sul piano fisico: le gambe si fanno più pesanti, le distanze tra i reparti si allungano, il fraseggio perde pulizia. Il Cosenza, al contrario, cresce alla distanza: spinge, attacca la profondità e costringe i giallorossi a qualche lettura in ritardo. Al 61’ arriva l’episodio che orienta il derby: calcio di rigore per i Lupi, dal dischetto Randazzo non trema e firma l’1–0. È la scossa che non volevamo: il Catanzaro incassa e, per qualche minuto, fatica a ritrovare la traccia del gioco.
Nel finale, quando al 90’ i rossoblù restano in dieci per un’espulsione, ci sarebbe il varco per rientrare. L’arbitro concede sei minuti di recupero, ma la rimonta non parte: frenesia, qualche cross forzato, poca lucidità nell’ultimo passaggio. La sirena del recupero chiude il derby: Cosenza–Catanzaro 1–0, con l’amaro in bocca e una lezione chiara.
Cosa ci portiamo a casa (oltre al rammarico)
Queste partite fanno male nell’immediato, ma servono. Il Catanzaro ha mostrato di saper tenere campo e palla contro una squadra che ha scelto di aspettare e colpire sull’episodio. La differenza l’hanno fatta i dettagli: la gestione delle energie nella ripresa, la qualità dell’ultimo passaggio, la capacità di spostare il blocco avversario con un cambio ritmo in più. Tatticamente, l’impianto c’è: baricentro medio, costruzione paziente, principi riconoscibili. Manca lo strappo negli ultimi trenta metri, quella giocata “cattiva” che ti apre il varco quando l’avversario si schiaccia.
Ricordiamoci la cornice: questa è una Primavera appena salita in Primavera 2, che ha iniziato l’annata con la fiducia guadagnata in Coppa Italia (il doppio scalpo Venezia e Cittadella non capita per caso) e che adesso deve adattarsi a un livello più alto sul piano ritmo-duelli-secondi palloni. Il derby racconta esattamente questo salto: equilibrio finché le gambe girano, poi entra in gioco la cattiveria agonistica. E lì oggi ha vinto il Cosenza.
Si riparte da una sconfitta che punge, ma non sposta il giudizio sul progetto. La Primavera di Costantino è una squadra che sa cosa vuole fare del pallone; ora deve imparare a farlo anche quando il fiato è corto e il punteggio gira storto. È il passo successivo, il più difficile e il più formativo.
I derby, poi, sono maestri severi: ti dicono dove sei davvero. Oggi il Catanzaro è una squadra in costruzione con idee chiare e margini evidenti. Domani—e il calendario non aspetta—dovrà essere una squadra che trasforma il possesso in pericolo, l’ordine in occasioni, la rabbia buona in punti. È così che si cresce. È così che si onora una maglia che non accetta alibi.