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venerdì 19 Dicembre 2025

Luciano Triolo, l’addio di Catanzaro: la Birreria degli Amici è storia

Nel quartiere marinaro il profumo della piastra arrivava fino alla strada. Luciano Triolo stava dietro il bancone, sguardo sveglio e mani veloci: pane appena scaldato, due mosse sicure, “alla Luciano” e via, il panino che ha fatto compagnia a generazioni di catanzaresi. C’era sempre una radio accesa, il pallone di sottofondo, qualche commento su un 4-3-3 che non convinceva o su un portiere che aveva salvato il risultato. Luciano Triolo in quel clima ci nuotava da una vita, come se la bottega fosse una tribuna con le luci calde invece dei riflettori.

Luciano Triolo e la Birreria degli Amici

Una serranda abbassata non racconta tutto. La Birreria degli Amici ha insegnato a molti cos’è uno spuntino fatto bene: essenziale, senza fronzoli, come il calcio di una volta. Luciano Triolo apriva, ascoltava, cucinava. Il “panino alla Luciano” era un marchio, ma anche un rito: quel tocco in più che nessuno sapeva spiegare e che tutti riconoscevano al primo morso. La sera, tra un vassoio e l’altro, rimbalzavano risultati, ricordi del Ceravolo, sorrisi complici. Chi passava da lì non usciva solo sazio; usciva con un frammento di città addosso.

Luciano Triolo aveva fatto della sua birreria un punto di ritrovo. Prima delle partite si entrava per una birra veloce e due opinioni sul pressing; dopo, per rimettere insieme i pezzi di una sconfitta o allungare la festa di una vittoria. In bottega capitava di vedere il nonno con il nipote, l’amico che non tornava da anni, il ragazzo che chiedeva “com’era quel Catanzaro”. E lui, Luciano Triolo, rispondeva con pazienza, infilando nel racconto la cronaca di una città che cresceva intorno a quel bancone.

Luciano Triolo tra calcio e bottega

Prima della piastra c’era il campo. In archivio, Enzo Minicelli conserva scatti preziosi: Luciano Triolo con i guanti, postura da portiere di provincia, quel piglio che poi si è portato dietro anche dietro il bancone. Chi lo ha visto giocare ricorda uscite coraggiose e qualche urlo ai compagni, le stesse vibrazioni che poi si ritrovavano nei commenti del dopopartita, quando la birreria diventava spogliatoio aperto e confidenze da fine serata.

La biografia di Luciano Triolo sta tutta in quell’incrocio: calcio e bottega, mestiere e appartenenza. A Catanzaro non servono targhe per ricordare chi ha lasciato segni così: basta pronunciare “Triolo” e qualcuno risponde “il panino”, qualcun altro “il portiere”. E in entrambi i casi arriva un sorriso. Perché Luciano Triolo non vendeva solo panini: distribuiva un’idea di città semplice e accogliente, dove la porta resta aperta e la discussione è sempre in gioco.

triolo

L’addio a Luciano Triolo: un rito di città

Settantadue anni sono abbastanza per riempire un quartiere di ricordi. Oggi l’ultimo saluto nella chiesa del Sacro Cuore alle 16 ha il sapore dei grandi addii popolari: gente che si conosce per nome, abbracci veloci, la fila che scorre lenta. Il figlio, Mario Costantino Triolo, lo ha salutato sui social con parole piene: ha detto che da oggi cambia il mondo di casa loro, ma che il padre resterà sempre con loro, numero uno nei panini e negli affetti. È il riassunto perfetto dell’uomo e del mestiere.

Qui non servono esagerazioni. Luciano Triolo ha fatto il suo pezzo di storia senza rumore: ha messo insieme una comunità, ha dato un posto dove fermarsi, ha insegnato a stare a tavola e a parlare di pallone senza prendersi troppo sul serio. La città lo saluta con gratitudine. Domani, quando passeremo davanti alla serranda, ci verrà da alzare lo sguardo come se fosse ancora lì, tra piastra e battute.


C’è un dettaglio che resterà. In certe sere d’inverno, quando il vento scende dal ponte e le luci del quartiere marinaro tremano appena, qualcuno chiederà dove si mangia “alla Luciano”. E allora toccherà a noi spiegare chi era Luciano Triolo, perché la sua Birreria degli Amici non era solo un locale e perché quel panino, in fondo, era una carezza di casa. La domanda, adesso, è semplice e impegnativa: chi, domani, avrà la stessa pazienza di aprire la porta e tenere insieme una città una chiacchiera alla volta?

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