Quando si parla del Catanzaro di Aquilani, la tentazione è sempre raccontare la lavagna tattica, i moduli, le scelte di formazione. Ma la vera storia dell’ultima settimana non è come gioca il Catanzaro. È come pensa. Il punto è mentale, ancor prima che calcistico. Ed è lo stesso Alberto Aquilani ad averlo detto e poi dimostrato, nel giro di dieci giorni scarsi: il 19 ottobre, dopo la sconfitta interna col Padova, aveva parlato di fragilità, di mancanza di lucidità, ma aveva difeso senza esitazione l’anima del gruppo. “Non manca l’anima, ma probabilmente ci manca qualcosa… mi sento in discussione, ma non mollo. Sono qui perché credo in questo progetto”. Parole dure, dette a freddo in sala stampa, mentre fuori volavano fischi e la classifica iniziava a tirare giù il fiato sul collo. Quel tipo di dichiarazione di solito resta retorica di sopravvivenza, un modo elegante per prendere tempo. In questo caso, invece, è stata un impegno pubblico. E, soprattutto, è stata mantenuta.
Aquilani e il suo Catanzaro: La crisi e la risposta
Per capire cosa significa “non mollo” bisogna stare dentro la cronologia, non sopra. Dopo Padova, il Catanzaro era definito “fragile” dallo stesso allenatore, prigioniero di partite che si rompevano al primo episodio negativo e incapace di trasformare volume di gioco in punti pesanti. La frustrazione non riguardava solo i risultati, ma la percezione esterna: una squadra accusata da parte dell’ambiente di essere “scarica”, “molle”, “senza rabbia”, mentre il tecnico insisteva sul contrario, quasi a protezione dei suoi uomini. “Io vedo impegno”, aveva detto Aquilani, “ma se parliamo di calcio ci manca qualcosa, probabilmente siamo un po’ fragili”. Quella parola, fragili, è diventata lo spartito del lavoro settimanale.
Poi è arrivata la gara col Palermo, ed è cambiato il tono. Contro una delle squadre più attrezzate del campionato, il Catanzaro ha trovato la prima vittoria pesante, quella che in certi campionati vale più dei tre punti perché ribalta il clima. È stata una partita di personalità, ma anche di rottura psicologica: dopo giorni passati a sentir parlare di contestazione e rischio esonero, la squadra ha risposto sul campo, davanti alla propria gente, con l’intensità di chi rifiuta l’etichetta di squadra “molle”. Aquilani non ha urlato al miracolo, anzi. Ha parlato di tappa, di mattoni, di un passo dentro un processo ancora fragile. Il messaggio verso l’esterno è stato semplice: non abbiamo risolto tutto, ma abbiamo smesso di subirlo.
La vera conferma è arrivata a Mantova. In trasferta. Con pressione addosso. Con l’obbligo di dare continuità. Con il rischio di tornare indietro di una settimana al primo contrattempo. Catanzaro va sotto, soffre, sbatte sul legno con Cisse e poi con la traversa di Brighenti, ma non si disunisce, non implode, non si spacca. È qui che il discorso “la squadra ha un’anima” smette di essere difesa d’ufficio e diventa fatto tecnico: “È una vittoria importante che dà continuità al successo contro il Palermo. Due gare diverse, ma con un unico obiettivo: prenderci i tre punti in un momento delicato. I ragazzi hanno risposto alla grande, dimostrando maturità e spirito di gruppo. Siamo stati bravi a non disunirci”, ha detto Aquilani dopo il 3-1 al “Martelli”.
Questa frase conta più della rimonta stessa. Non è solo “abbiamo vinto ancora”. È: lo abbiamo fatto da squadra. In Serie B non è dettaglio estetico, è il confine tra chi soffre sempre e chi impara a soffrire insieme.
Il ruolo del club
Dentro questa piccola rifondazione emotiva c’è una scelta societaria che va raccontata con onestà. Quando il Catanzaro attraversava il punto più basso, dopo il ko con il Padova, l’allenatore non è stato lanciato in pasto alla piazza per salvare il resto. È successo il contrario. Il direttore sportivo Ciro Polito ha preso posizione in modo netto: fiducia nell’allenatore, fiducia nel gruppo, nessuna messa in discussione pubblica. La linea è stata chiara: difendere l’idea tecnica e proteggere lo spogliatoio proprio nel momento in cui sarebbe stato più facile scaricare sul singolo. Una presa di responsabilità così, in quel punto del calendario, vale quasi quanto una vittoria. Non è marketing. È gestione degli equilibri interni.
Per capire il peso di una dichiarazione di questo tipo basta ricordare cosa succede di solito nelle settimane calde di Serie B: filtrano “riflessioni in corso”, “situazione monitorata”, “fiducia a tempo”. Non è andata così. A Catanzaro è arrivato un messaggio opposto: “l’allenatore non è in discussione, crediamo in questo progetto e nel lavoro dello staff”. Quel “non è in discussione” pronunciato quando l’inerzia ti spinge a fare il contrario è, calcisticamente, un atto politico. E nello spogliatoio un atto politico si traduce in due effetti concreti: abbassa la paura individuale di finire nel tritacarne mediatico al prossimo errore e alza la responsabilità collettiva, perché se il club ti copre, poi devi coprirti tra compagni. È esattamente quello che si è visto nelle due partite successive, Palermo e Mantova, con un Catanzaro più corto, più feroce nei duelli e finalmente capace di portare dentro dalla panchina giocatori che incidono nei momenti chiave.
Questo passaggio è fondamentale anche per capire il tono delle parole dell’allenatore dopo Mantova. L’insistenza di Aquilani su concetti come “spirito di gruppo”, “maturità”, “non disunirci” non è casuale, è una restituzione pubblica verso chi lo ha protetto quando il vento era contrario. In altri termini: la società ha fatto muro, poi la squadra ha risposto, e l’allenatore adesso può rivendicare che quel muro non era costruito sul nulla.
Catanzaro, svolta mentale o semplice fiammata?
Adesso il Catanzaro arriva alla sfida con il Venezia, partita che al “Ceravolo” vale molto più di una semplice giornata di campionato, con un capitale emotivo che non aveva due settimane fa. Venezia è un avversario di rango, tornato con forza in zona playoff dopo avere rifilato tre gol al Südtirol e che ambisce dichiaratamente alla parte alta della classifica. È quindi l’avversario ideale per capire se la cosiddetta “svolta mentale Catanzaro” è già struttura o resta momento.
Qui sta il confine tra entusiasmo e analisi. I segnali sono incoraggianti e sono verificabili, non impressionistici: dopo settimane in cui bastava un episodio contro per far crollare tutto, la squadra oggi regge l’urto, rimonta in trasferta, gestisce la tensione, porta a casa il risultato pieno con autorevolezza. Lo dicono i fatti. Lo dicono le parole dell’allenatore che parla apertamente di “maturità e spirito di gruppo”, concetti che non usi se hai vinto solo di furore, perché la maturità non è un gol al 90’, è il modo in cui reagisci al 30’. Lo dicono anche i dettagli tattici sottolineati nel post partita: “Abbiamo lavorato molto sulla fase difensiva, sulle marcature in area e sulle coperture laterali. Si stanno vedendo miglioramenti, anche se possiamo crescere ancora. In Serie B basta una minima disattenzione per compromettere una gara, quindi dobbiamo restare concentrati”. Questo è un allenatore che sente la squadra più dentro le correzioni, non solo più carica di adrenalina.
Ma sarebbe ingenuo trasformare due partite in sentenza definitiva. Il Catanzaro resta una squadra che ha attraversato una crisi aperta e pubblica, con fischi, dubbi tecnici e una classifica che non perdona. Resta una squadra che, parole sue, “probabilmente è un po’ fragile” e che deve ancora dimostrare di aver trasformato quella fragilità in consapevolezza e non solo in reazione nervosa. Resta, soprattutto, una squadra che adesso non è più coperta dall’alibi dell’emergenza: quando vinci a Mantova 3-1 in rimonta e lo fai dopo aver battuto il Palermo, smetti di essere una storia di sofferenza e diventi automaticamente una storia di ambizione. E quando diventi ambizione in Serie B, i margini di tolleranza si azzerano in fretta.
La partita con il Venezia, quindi, è esattamente il tipo di verifica che serve a misurare la profondità di quello che sta succedendo. Davanti ci sarà una squadra organizzata, abituata a colpire quando l’avversario perde il controllo emotivo, e ci sarà uno stadio che si prepara a essere una camera di pressione costante. È un contesto perfetto per capire se il Catanzaro ha davvero fatto quel salto di identità che Aquilani ha chiesto, difeso e infine ottenuto sul campo nelle ultime due uscite, o se le ultime giornate resteranno una fiammata di orgoglio dentro un campionato ancora pieno di incognite.
La differenza tra sopravvivere e competere, in questa Serie B, spesso non è tecnica ma psicologica. Il Catanzaro di queste ultime due partite è una squadra che non si è più vergognata della propria fragilità, l’ha guardata in faccia e l’ha usata per cambiare atteggiamento in campo. È qui che si vede la mano dell’allenatore. Aquilani aveva promesso che non avrebbe mollato e che la squadra aveva ancora anima. Lo ha detto quando era nel mirino, lo ripete oggi che è in risalita. Domenica contro il Venezia capiremo se questo è l’inizio di una nuova continuità o se resta un picco emotivo dentro una stagione complicata. È lì che si misura il valore reale della svolta mentale del Catanzaro di Aquilani, ed è lì che si capirà se il muro eretto dal club nelle settimane difficili è stato davvero l’inizio della rinascita o soltanto una tregua.
