lunedì 17 Giugno 2024

L’Amarcord del giovedì, di Aurelio Fulciniti – 1: Intervista a Gianni Bui

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Al via oggi una nuova rubrica dedicata ai protagonisti e alle partite più importanti della storia dell’US Catanzaro. Iniziamo con Gianni Bui, riproponendo una sua intervista del dicembre 2013

Gianni Bui, ovvero l’enciclopedia del calcio italiano. A parlare con lui ci vorrebbero delle ore e ci sarebbe materiale per scrivere persino un libro. Ed è stato lui stesso a dirlo, durante l’intervista. Nato a Serramazzoni (Modena) il 5 maggio 1940, cresciuto nelle giovanili della Lazio, si mette in luce nella Cirio, piccola squadra di Napoli che gioca in Serie C, per poi tornare alla Lazio e passare quindi al Pisa e poi alla Spal. 53 partite e 13 gol con gli spallini in due campionati di Serie A, seguiti poi da quella che poteva essere la “grande occasione”, ma che in realtà precede il suo vero “trampolino di lancio”. Bui ce la racconta così: “Venivo da Bologna, dove arrivai nel 1964, l’anno in cui i rossoblù avevano vinto lo scudetto dopo lo spareggio con l’Inter. L’allenatore, Fulvio Bernardini, prese me e altri due giocatori, Muccini e Turra, come rinforzi, anche per via della Coppa dei Campioni, dove fummo subito eliminati. Io ero la riserva di Harald Nielsen, che praticamente non si infortunava mai. Giocai solo tre partite e a fine campionato arriva la proposta del Catanzaro. E devo dire che la cosa mi andava bene. Ricordo che appena arrivato alla stazione di servizio, quella prima del grande ponte, chiedo all’unica persona che incontro: “Ma dov’è Catanzaro?” “Eccola”, mi dice, indicando la collina. La strada per arrivare sembrava non finire mai. Mi ambientai bene, tanto da portare poi in Calabria mio padre e mia madre, che rimasero ed abitarci, sul mare, finché non smisi di giocare, quando ero al Milan. Avevo 35 anni e fosse stato per me avrei giocato ancora, ma le gambe ormai non erano più quelle di un ventenne. Comunque, a Catanzaro avevamo una bella squadra e un allenatore, Dino Ballacci, pure lui bolognese, molto bravo”.

In due campionati in giallorosso 67 presenze e ben 33 gol. Tiratore fulmineo ed eccellente colpitore di testa, anche da posizioni impossibili, nella prima stagione in B segna 18 gol con titolo di capocannoniere e nella seconda 15. È stato il primo calciatore “divo” arrivato a Catanzaro: la sua Jaguar bianca se la ricordano ancora tutti i tifosi di allora, con grande simpatia. Ma la Coppa Italia del 1966, persa in finale contro la Fiorentina per 2-1 solo su rigore e dopo i tempi supplementari, quella non l’hanno dimenticata neppure quelli che non l’hanno vista. Un’emozione incancellabile, anche per Bui che fu protagonista sul campo: “Ovunque giocavamo mi sentivo a casa. C’erano tifosi del Catanzaro dappertutto, in ogni stadio, da Napoli, al San Paolo, dove segnai il gol dell’1-0 vincente, fino a Torino contro la Juve e alla finale di Roma”.

Dopo Catanzaro, Bui gioca per tre stagioni al Verona e per altre quattro al Torino. Concludono la sua parabola in Serie A due sole partite nel Milan 1974/75. E il 2 aprile 1972, in Serie A, si disputa Catanzaro-Torino, con i granata in lotta per lo scudetto. Gli ospiti passano dopo 11 minuti con Claudio Sala e raddoppiano al 25’ con un’autorete di Adriano Banelli. Dopo due minuti della ripresa accorcia le distanze Maurizio Gori per il Catanzaro e al 56’ c’è un episodio storico che Bui racconta così: “In quella partita mi mancava un difensore che avevo incrociato sul campo già negli anni precedenti, quando giocava nel Milan: Luigi Maldera. E sui calci d’angolo un terzino di Catanzaro, molto bravo: Fausto Silipo. Segnai un bel gol di testa, ma non esultai perché ero praticamente come a casa e ci tenevo a fare bella figura. Terminata la partita, mi feci dare un passaggio e andai a trovare i miei genitori. Il giorno dopo ripartii per Torino”. Gol dell’ex ma senza esultanza, quando ancora non si usava. Gianni Bui, gran signore anche in questo.

E il “presente” di Gianni Bui? “Oggi vivo a Valenza, in provincia di Alessandria, la città di mia moglie. È sempre stata “la città dell’oro”, quella dell’industria e dell’artigianato orafo, ma con questa crisi è un po’ meno splendente. Io, da parte mia, dopo avere fatto per 13 anni l’osservatore per la Nazionale maggiore e l’Under 21, collaborando con fra l’altro con i ct Giovanni Trapattoni, Marcello Lippi e Pierluigi Casiraghi, oggi svolgo la stessa attività ma al Chievo. Onestamente alla mia età non era più così facile andare sempre in giro all’Estero. Oggi seguo i giovani. Anzi, diciamo che vado dove mi manda Sartori, il direttore sportivo, che fra l’altro è stato anche un mio giocatore quando allenavo il Chievo”.

E il Catanzaro? “Fino a poche estati fa i miei otto giorni d’estate al Villaggio Guglielmo li passavo sempre. Ma continuo ed essere legato alla Calabria e a seguire il Catanzaro. Mi dicono che pareggia un po’ troppo, ma non è un problema. Lo diceva anche Nils Liedholm, quando era il mio allenatore al Verona. Se pareggiavamo in trasferta diceva che andava bene così, perché eravamo più carichi per vincere la prossima in casa”.

AURELIO FULCINITI

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