martedì 10 Giugno 2025

“Non è solo colpa mia”: la caduta del Brescia vista da Massimo Cellino

Un epilogo amaro e pieno di interrogativi. A poche ore dal mancato pagamento delle spettanze necessarie per l’iscrizione al prossimo campionato, che ha di fatto decretato l’addio del Brescia al calcio professionistico, il presidente Massimo Cellino rompe il silenzio e affida al Corriere della Sera il suo sfogo, che suona come un’ammissione velata e una difesa rabbiosa. Parole intrise di amarezza, accuse, vittimismo e una sottile consapevolezza di un destino segnato.

Brescia, Cellino: “Un giorno triste”

«I furti e le truffe non mi hanno messo nelle condizioni di poter contrastare la violenta ingiustizia perpetrata dalla federazione nei nostri confronti», ha dichiarato Cellino. La frase è pesante, condita da un retrogusto di complotto e di solitudine, un leitmotiv che ha accompagnato gran parte della sua gestione. L’ex patron di Cagliari e Leeds si dice “solo contro tutti”, lamentando persino l’ostilità della tifoseria, che negli ultimi tre anni non avrebbe fatto altro che contestarlo. «Oggi per me è un giorno triste», ha aggiunto, lasciando trasparire uno scoramento senza precedenti.

La realtà è che il Brescia Calcio sarebbe potuto rimanere in vita con un esborso stimato intorno ai 3 milioni di euro, cifra contenuta rispetto agli standard del calcio professionistico. E qui si colloca la domanda cruciale, che rimbalza tra tifosi, addetti ai lavori e semplici osservatori: perché il club è stato lasciato andare alla deriva? Una risposta, Cellino prova a darla: «Ogni giorno ne veniva fuori una, quanto sarebbe servito ancora per l’iscrizione? In tasca degli altri è sempre facile contare i denari, ma ognuno conosce le proprie possibilità economiche. Io conosco le mie».

Una crisi annunciata

In realtà, quella del Brescia è una crisi che non esplode oggi. La stagione è stata tormentata da incertezze finanziarie, continui tira e molla societari, malcontento ambientale e prestazioni sportive al di sotto delle aspettative.

Non è bastato il tentativo, ormai vano, di rientrare nei parametri a poche ore dalla scadenza. Non è servita la fama di Cellino come imprenditore “decisore”, capace di tirare fuori con un colpo di teatro l’asso dalla manica. Questa volta non c’era nessuna carta da giocare, solo il peso degli errori e delle occasioni mancate.

Le responsabilità e il futuro

È evidente che l’epilogo drammatico di una società storica come il Brescia non può essere ascritto a un solo colpevole. Ma le parole del presidente – “non è solo colpa mia” – suonano più come uno scarico di responsabilità che una reale assunzione. In ogni caso, quel che resta oggi è il vuoto lasciato da una piazza gloriosa, un pezzo importante del calcio italiano che rischia di sparire dalla mappa professionistica.

Il futuro del Brescia è un’incognita. Si attenderanno ora gli sviluppi burocratici e federali per capire se il club ripartirà dai dilettanti e con quali modalità. Ma sarà difficile, se non impossibile, ricucire subito il rapporto tra la città e la proprietà.

La vicenda Brescia rappresenta un campanello d’allarme per tutto il calcio italiano, soprattutto per le categorie al di sotto della Serie A, sempre più esposte a fragilità economiche e gestioni opache. Se anche una piazza con tradizione, storia e tifo appassionato può scomparire così, significa che il sistema necessita di riforme strutturali, controlli più severi e politiche di sostenibilità concrete.

Il monito di Cellino, anche nella sua forma più polemica, deve spingere a riflettere: non si può più permettere che la sopravvivenza di un club dipenda unicamente dal portafoglio di un singolo uomo.

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