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lunedì 13 Ottobre 2025

Quando una città si riconosce in undici maglie

Nei vicoli che attraversano il centro storico, tra i tre colli che dal tempo dei Bizantini guardano i due mari, ogni sanpietrino parla di calcio come lingua madre. Dalla Grecìa a San Giovanni, da piazza Matteotti fino ai quartieri storici della Filanda e dei Coculi, il Catanzaro non è solo pallone: è identità collettiva che tiene insieme generazioni. Qui il fine settimana si celebra come rito, e una vittoria vale più di mille promesse. Questa è Catanzaro, dove l’anima della città batte all’unisono con l’undici che scende in campo al Ceravolo, dove il legame tra territorio e squadra non è folklore da cartolina ma sostanza viscerale.​

Uno degli stadi più antichi del Sud che non smette di emozionare

Lo Stadio Nicola Ceravolo è il terzo impianto sportivo più antico d’Italia, inaugurato nel 1919. Ma i numeri dell’anagrafe calcistica contano poco quando, alle 15 di una domenica o di un sabato pomeriggio, le gradinate si riempiono di famiglie intere. Padri che portano i figli a vedere Iemmello, nonni che raccontano di Massimo Palanca e Angelo Mammì, madri che conoscono ogni schema di Aquilani. È un teatro popolare dove si consuma un rito collettivo, dove il tifo non conosce età.​

Le testimonianze parlano chiaro: entrare al Ceravolo significa immergersi in un’atmosfera che accende tutti i sensi. Il verde intenso del campo, i cori della Curva Ovest Massimo Capraro che partono già mezz’ora prima del fischio d’inizio, l’odore acre dei fumogeni, le bandiere che sventolano come vele al vento. E poi quel momento magico: quando l’annunciatore presenta le formazioni e lo stadio esplode in un boato che arriva fino al porto. Non servono effetti speciali quando hai migliaia di persone che cantano all’unisono “Noi siamo il Catanzaro”.

La tifoseria più fedele d’Italia che non conosce distanze

I numeri certificano ciò che il cuore già sapeva: il Catanzaro vanta la tifoseria più fedele della Serie B. Nel campionato 2024-25, i giallorossi hanno chiuso al primo posto con 1.019 tifosi di media in trasferta, unici a superare quota mille. Davanti a piazze blasonate come Pisa, Salernitana e Bari. Per la terza stagione consecutiva, un primato che sa di orgoglio identitario.​

Ma è nel dettaglio che si coglie la grandezza di questo amore: cinque sold-out stagionali in trasferta, con il record a Salerno dove arrivarono migliaia di tifosi a festeggiare il ritorno in Serie B. Quest’anno la storia si ripete: oltre 2.200 biglietti venduti per la trasferta di Monza, settore ospiti dell’U-Power Stadium completamente esaurito nonostante i sei pareggi consecutivi di inizio stagione. Nella classifica parziale della stagione 2025-26, il Catanzaro viaggia a 1.155 tifosi di media in trasferta, primo posto assoluto dopo solo quattro gare​.

Sono numeri che raccontano pellegrinaggi domenicali, pullman che partono all’alba, famiglie che risparmiano per mesi pur di seguire le Aquile ovunque. Trasferte vietate come quella di Cosenza che diventano ferite aperte, perché impediscono quel rito di appartenenza che va oltre il risultato. Il Catanzaro in trasferta sarebbe intorno al decimo posto in Serie A, davanti a Torino, Atalanta e Verona: un dato che fa riflettere sulla portata di questo fenomeno sociale.​

La città che respira giallorosso oltre il rettangolo verde

A Catanzaro, il calcio non è questione di classe sociale o orientamento politico. È il collante egualitario che unisce avvocati e operai, studenti universitari e commercianti, professori e artigiani. Nel centro storico, i bar si trasformano in arene di discussione tattica: il 3-4-2-1 di Aquilani, il rendimento di Liberali, le scelte di formazione. Galleria Mancuso diventa stadio popolare con maxischermo e tavolini, dove ogni tiro in porta scatena boati collettivi.​

La passione si trasmette di padre in figlio come eredità sacra, dove i bambini crescono imparando i cori della curva prima ancora di saper leggere la formazione sul giornale. È un patrimonio immateriale che si rinnova generazione dopo generazione, alimentato dalle storie dei vecchi ultras e dalle imprese recenti che hanno riportato la squadra in Serie B. Le domeniche al Ceravolo diventano appuntamenti familiari irrinunciabili, dove tre generazioni si ritrovano sugli stessi spalti.​

Il territorio risponde con iniziative che vanno oltre il tifo: progetti sociali portano allenamenti gratuiti nei quartieri a rischio, diffondendo valori di inclusione e rispetto. I murales che raccontano le gesta di Iemmello colorano i muri della città, trasformandola in un museo a cielo aperto della fede giallorossa. Perfino la Lega B ha celebrato Catanzaro come simbolo di “storia, cultura e passione sportiva”, riconoscendo il legame unico tra squadra e territorio.​

L’identità che resiste al tempo e alle difficoltà

Catanzaro custodisce gerarchie secolari, tradizioni bizantine, un’identità sentita come esclusiva e caratterizzante. Ma quando si parla di calcio, tutte le divisioni scompaiono. Lo stadio diventa porto franco, arena che accoglie ogni fisionomia sociale, spianando dislivelli politici e culturali. Non è retorica da articolo di giornale: è la realtà di una città che si riconosce nelle undici maglie giallorosse più che in qualsiasi altro simbolo.​

Le difficoltà sportive del momento – sei pareggi consecutivi e una sconfitta a inizio stagione, un cammino in campionato ancora da decifrare – non scalfiscono questa fede. Perché qui si va allo stadio anche quando si perde, si riempiono i pullman per le trasferte anche quando la classifica piange. Il derby con il Cosenza, che quest’anno non avverrà, diventa battaglia simbolica per la supremazia territoriale, ogni gol contro i Lupi vale doppio.​

La rivalità accende gli animi, ma è l’appartenenza a nutrire quotidianamente questa passione. Catanzaro non è solo una squadra: è il racconto collettivo di un’intera comunità, la narrazione che continua a scriversi ogni domenica tra il verde del Ceravolo e l’azzurro dei due mari. Un legame che resiste alle retrocessioni, ai momenti bui, alle difficoltà economiche. Perché quando una città si riconosce in undici maglie, il risultato finale conta meno della certezza di esserci sempre, comunque, ovunque.​

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