Nelle foto del Catanzaro 1977-78 è impossibile non riconoscerlo. Se c’è uno biondo con la faccia da ragazzino, quello è lui. Massimo Arrighi, nato a Crespina in provincia di Pisa il 10 novembre 1954, una carriera tutta da terzino destro, cresce in una squadra oggi “nobile decaduta” ma che nei mitici anni Settanta del grande calcio italiano “viaggiava” tra Serie A e B, con un settore giovanile da cui uscirono veri fuoriclasse e giocatori che sono tuttora nella memoria di tanti tifosi. “Calcisticamente – racconta Arrighi – sono nato nel settore giovanile del Varese. Allora si trattava una società da cui erano usciti Pietro Anastasi, Roberto Bettega e poi Claudio Gentile, Giampiero Marini ed Egidio Calloni. Sono salito su da Crespina, un paesino di campagna toscano, e avevo solo 15 anni. Nel Varese ho fatto tutta la trafila, compresa un’annata in Serie D con l’Ignis Varese e una in Serie C con il Seregno, sino ad approdare alla prima squadra”.
Nel 1977 Arrighi passa nelle file dei giallorossi, appena retrocessi dalla massima serie e smaniosi di ritornarvi. L’impatto con l’ambiente, che poteva essere anche traumatico, si rivela invece per il biondo terzino molto più esaltante del previsto, e non solo dal punto di vista calcistico: “A Catanzaro fu una stagione stupenda, indimenticabile. Arrivavo direttamente dal servizio militare, Compagnia Atleti di Bologna. Amo molto il mare e il fatto di abitare a Catanzaro Lido per me fu una cosa esaltante. Il calabrese è una persona magnifica e quindi mi trovai subito a mio agio. Se poi a tutto questo aggiungiamo che poi siamo saliti anche in Serie A lo spettacolo si amplificava ulteriormente”.
Massimo Arrighi gioca da titolare quasi tutte le partite del girone di andata, saltando solo quella in casa col Taranto alla quarta giornata, dove siede in panchina e l’ultima in quel di Como, dove non è tra i convocati. E a tal proposito ricordiamo che in panchina all’epoca sedevano appena tre giocatori: il secondo portiere, “dodicesimo” per destinazione e qualche volta per vocazione (spesso necessaria), il “tredicesimo” e il “quattordicesimo” e ne subentrava solo uno, portiere di riserva a parte. Questo per dire che le “panchine lunghe” di oggi non erano neanche immaginate e sedere fra i “panchinari” con rose così corte poteva considerarsi anche un titolo di merito.
Nella partita di andata in casa contro il Cagliari, persa 2-3, Arrighi incappa in uno sfortunato autogol, intervenendo col piattone su un cross di Quagliozzi per l’1-3 dei sardi, ma quello in generale è un momento no per il Catanzaro. Poche settimane più tardi, i giallorossi perdono in casa con lo stesso risultato contro il Bari, sul neutro di Reggio Calabria, ritrovandosi dopo sedici giornate a soli due punti dalla zona retrocessione. Sembrava, come affermò anni più tardi l’allenatore Giorgio Sereni, “l’inizio della fine”, ma fu invece il principio di una grande cavalcata che portò alla Serie A. Nel girone di ritorno Arrighi, pur stando molte volte in panchina, parte da titolare a Varese e a Bari, dove al termine di una difficile partita viene fuori un prezioso pareggio che sarà decisivo come altri risultati dei giallorossi, subentrando poi in casa col Cesena, a Taranto e nella trasferta contro la Pistoiese, conclusa con un’importante vittoria.
E fu proprio la coesione a risultare la base del successo di quel Catanzaro, al di là delle presenze sul tabellino e di tutte le altre variabili calcistiche. Arrighi ne è convinto ancora oggi e sottolinea quanto di buono si venne a creare, anche fuori dal campo: “Sono convinto che uno dei cardini della promozione fu proprio il gruppo. La qualità delle persone era molto alta, e non mi riferisco solo alla squadra. Molti dei miei ex compagni di squadra sono tuttora amici e si incontrano ogni tanto. Al di là dei giocatori, voglio ricordare anche Masino, il massaggiatore, il dottore Martino e la signora Italia, insieme ad altre persone, tutte di grande spessore umano”.
Dopo una carriera di calciatore proseguita a Varese, Arezzo e Novara, fra le altre, Arrighi è rimasto nel mondo del calcio e ci vive tuttora: “Sono sempre rimasto nel mondo del calcio, specializzandomi nel settore giovanile. Dopo varie esperienze come allenatore e coordinatore a livello dilettantistico, ho lavorato per sette anni nel Pisa e adesso sono tredici anni che faccio parte dello staff di lavoro nel settore giovanile dell’Empoli. In particolare, mi occupo di coordinare il lavoro di campo nell’attività di base”.
Ma non dimentica i colori giallorossi: “Colgo l’occasione per salutare tutti i catanzaresi e sempre Forza Catanzaro”.