Ci sono formazioni che rimangono nella memoria dei tifosi anche a distanza di decenni. E almeno i primi tre nomi se li ricordano tutti. “Sarti, Burgnich, Facchetti”, per gli interisti doc. “Zoff, Gentile, Cabrini” per quelli della Juve. “Zaninelli, Celestini, Salvadori”, per un giallorosso doc del Catanzaro. Non è una formazione qualunque, ma risale esattamente al 16 maggio 1982. Catanzaro-Juventus 0-1, ultima di campionato, una sconfitta che portò lo scudetto alla Juve, ma anche una partita storica al di là del risultato. E il numero 3 era lui, Andrea Salvadori, nato ad Empoli l’8 aprile 1961. Il quale, come di consueto, ci racconta subito di sé:“Sono cresciuto nell’Empoli, ovviamente. Ho debuttato in C/1 a soli 17 anni, giocandovi per due campionati”
Come arrivò a vestire la maglia del Catanzaro? “Mi ha portato Tarcisio Burgnich, quando venne ad allenare i giallorossi. Era il 1980 e nella stagione precedente lui aveva allenato il Livorno. Le nostre squadre giocavano nello stesso girone e lui rimase impressionato dalle mie qualità, nelle partite con l’Empoli”.
Come fu l’impatto con la Serie A, con il pubblico e con la città?“Era la prima volta che andavo a giocare lontano da casa e l’impatto iniziale fu difficile, ma neanche tanto, perché ho sempre saputo adattarmi a qualsiasi situazione. Dividevo la casa con Zaninelli e Sabato, compagni di squadra e ottime persone. Ogni tanto ci sentiamo ancora. Anche dal punto di vista tecnico mi adattai bene alla Serie A, perché il mio gioco attento e aggressivo, di carattere, ben si adattava a quello della squadra e pure alla categoria. Fra le partite che ricordo c’è il mio esordio, in casa contro la Juventus. Pareggiammo 0-0 e marcai Domenico Marocchino, che non era un avversario facile. Un’altra partita molto bella fu a San Siro, nella stagione successiva: Inter-Catanzaro 1-1. Marcai Salvatore Bagni, che già allora era nel giro della Nazionale, ma tutta la nostra squadra fece una grande partita, e il risultato sta lì ancora a dimostrarlo”.
Ci fu una stagione stupenda, quella 1981/82, con il più bel Catanzaro di sempre al settimo posto finale: “Quello con Bruno Pace come allenatore fu un grande campionato. Giocammo sempre a un buon livello. Non dico che riuscivamo a imporre il nostro gioco in ogni partita, ma la qualità della squadra era tale che riuscivamo a farci rispettare da tutti gli avversari”.
Senza contare le grandi vittorie, come lo 0-1 a San Siro col Milan, gol di Edi Bivi:“Il Milan di quel campionato non era la squadra da battere. Era una formazione assemblata male ed apparteneva alle “grandi squadre” solo per il blasone e di certo non per le qualità tecniche o dei singoli. Marcai Walter Novellino e il risultato di 1-0 per noi ci stette assai stretto”.
E non si può non parlare della già citata partita contro la Juve: “Perdemmo 0-1 con un rigore netto trasformato da Liam Brady e concesso per un fallo di mano di Celestini. Marcai Paolo Rossi, che in quel periodo era appena tornato a giocare dopo la squalifica per il calcio-scommesse. Abitando in Toscana, ci sono molti tifosi della Fiorentina che ancora ricordano quella partita e me ne parlano sempre. E sarebbe strano il contrario, perché quella partita fece perdere lo scudetto ai viola. Ma posso dire che se il rigore per la Juventus era netto, ce ne fu un altro ancora più netto per un fallo plateale di Sergio Brio sul nostro Carlo Borghi. Non voglio dire che l’arbitro Pieri fu particolarmente benevolo nei confronti della Juve, ma di sicuro non diresse la partita in maniera equilibrata”.
Finite le stagioni in giallorosso, Salvadori scende di categoria: “Dopo Catanzaro, nel 1983/84 passai in Serie C/1 alla Spal, con Giovanni Galeone come allenatore. La squadra era forte, ma non ottenemmo la promozione perché avevamo di fronte almeno due corazzate come il Parma e il Bologna, che salirono entrambe in Serie B. Ricordo la partita al “Dall’Ara” in cui perdemmo 1-0 e Gil De Ponti, centravanti avversario, a fine partita venne vicino a noi, andò dal mister e gli disse: “Uè, oggi abbiamo affondato il Galeone”. Cose così, molto simpatiche”.
In Toscana, e non solo, arrivano poi traguardi storici: “Passai di nuovo all’Empoli, dove al secondo campionato ottenemmo una promozione in Serie A. Il primo campionato nella massima serie è stato favoloso, poi nella stagione successiva chiesi di andare via. Non è che avessi dei dissapori con Salvemini, poiché più che un allenatore per me è stato un padre, ma l’Empoli acquistò Massimo Brambati, il quale era della “scuderia” di Luciano Moggi e alla fine giocava sempre titolare al posto mio. E quindi passai all’Atalanta, in Serie B, ma con la possibilità di giocare in Coppa delle Coppe, dove fummo eliminati solo in semifinale dai belgi del Malines”.
Il finale di carriera? “Nel campionato di Serie B 1988/89 torno all’Empoli. Ho avuto un grande allenatore come Gigi Simoni, ma la società, appena retrocessa, non era molto solida e retrocedemmo dopo lo spareggio col Brescia. Poi sono stato tre anni a Catania, città meravigliosa dove per di più ho giocato sempre con continuità. Infine ho giocato un’ultima stagione a Prato, giusto in tempo per vincere un campionato, e poi ho iniziato ad allenare”.
E oggi? “Ho avuto per vent’anni un’azienda che produceva cartucce per stampanti, insieme a Luca Della Scala, ex compagno di squadra nell’Empoli. Poi l’ho ceduta, perché mi ero stancato di lavorare. Oggi alleno in una scuola calcio qui vicino a Montecatini, legata alla Juventus. Un bel progetto. Da qui è uscito Bonaventura, tanto per fare il nome di un calciatore che ora sta in Serie A”.
AURELIO FULCINITI