Mauro Briano, il “Conte di Carmagnola”, nato nella cittadina piemontese che fu cara ad Alessandro Manzoni, è stato uno degli ospiti della quattordicesima puntata di “Passione Catanzaro”, il programma interamente dedicato ai giallorossi, in onda su GS Channel. Per lui, 50 partite fra Serie A e B, sempre titolare inamovibile del centrocampo per eleganza, classe e tecnica sopraffina. E anche tanta competenza calcistica nelle sue parole, oltre alle emozioni che per chi ha vissuto l’entusiasmo della piazza giallorossa non mancano mai.
“Il Catanzaro ha avuto un’estate difficilissima, tumultuosa è paradossalmente, oggi quando le cose vanno bene non si costruisce più, ma si smantella. È diventato il problema nuovo del calcio. Una volta si vinceva, si facevano i contratti e si facevano dei progetti. Adesso gli allenatori, quasi per paura, preferiscono cambiare piazza e andare dove è più facile “fare qualcosa di positivo”. I giocatori prendono subito mercato e le società sono consapevoli che ripetersi è difficile e quindi si fanno delle scelte a volte anche impopolari, però mi sembra che il Catanzaro abbia avuto ancora una volta ragione. Quindi ha passato un’estate difficilissima, rivoluzionando in tutti i sensi e sono arrivate persone che hanno anche adottato un po’ le proprie scelte. Dall’allenatore al direttore sportivo, subentrare a quello che ha fatto il Catanzaro negli ultimi due anni non è facile. Sono stati coraggiosi, spero che vengano premiati anche dal campo.
Il Catanzaro resta competitivo a tutti i livelli, lo ha detto anche Gaetano Fontana, l’avete detto anche voi, perché se la gioca con tutte le squadre avversarie. C’è qualche punto in meno rispetto alla scorsa annata, però dobbiamo essere lucidi e ammettere che è una squadra anche diversa, con tanti giovani bravi che avranno anche un futuro importante. Il Catanzaro è lì, in un campionato difficilissimo, molto equilibrato, però io credo che possano ancora migliorare la propria classifica. Se così non fosse avremmo a che fare con un campionato molto diverso da quello dell’anno scorso, ma comunque importante. Questa è la cosa che deve trascinare un po’ tutto l’ambiente e la tifoseria”.
“L’ambiente, per stare bene insieme e fare gruppo fa sempre la differenza, in ogni categoria e in ogni squadra. Catanzaro è da qualche anno che ha intrapreso un trend positivo. È evidente la qualità della società che c’è alle spalle. Io lo dissi con qualche vostro collega l’anno scorso che il Catanzaro – io poi vivo in Piemonte e conosco una marea di catanzaresi qui che sento tutti i giorni – da qualche anno è uscito da quello stato di società della Calabria e della Regione ed è diventata una società a livello nazionale per come comunica, per come si pone e per come gestisce i propri social. Ed è questo il salto che ha fatto la società negli ultimi anni. C’era qualcuno che poteva sottrarsi e cercare mille scuse, ma non lo ha fatto.
Il Catanzaro in silenzio ha saputo, secondo me, superare un momento non facile all’inizio e oggi è tornato con competitività e una classifica buona. C’è un ottimo direttore sportivo, che parla poco ma lavora tanto e conosce l’ambiente. Inoltre, conosce molto bene il mondo del calcio e quindi il Catanzaro è in buone mani. Il clima positivo di un gruppo è dato dai risultati positivi, perché i risultati negativi generano la polemica e mettono in dubbio il lavoro settimanale con i calciatori. Viceversa, quando le cose vanno bene sono tutti bravi e tutto funziona. A Catanzaro ormai c’è un arco temporale abbastanza largo e non è una casualità se le cose continuano ad essere positive”.
“Ho girato tante squadre e Catanzaro è stata l’esperienza calcistica più bella e più importante da calciatore. Ho vissuto l’annata che per me è stata la migliore a livello di prestazioni in tutta la mia carriera. In assoluto, migliore anche di quella con la Reggina in Serie B. L’ambiente di Catanzaro mi è rimasto nel cuore. Ho tantissimi amici che tuttora sento. Io ero innamorato di tutto e andai via soltanto perché fui costretto. Non sarebbe stato un problema rimanere, ma andai via perché si creò una situazione tale che non ebbi scelta. A chiamarmi fu la Triestina, che era una società che quell’anno faceva un campionato di bassa classifica e dovetti accettare, ma ricordo che furono giorni difficili, tristi.
Partii che avevo le valigie in hotel, ma non ci credevo neanche io e infatti non portai via neanche le cose dell’appartamento, poi qualche amico me le andò a spedire. Andai a Trieste e caso volle che dopo qualche settimana giocassi proprio contro il Catanzaro che vinse 1-0. Giocai perché feci il mio lavoro come l’ho fatto sempre, ma dentro di me c’erano delle emozioni incredibili. Quando giochi a Catanzaro ti rendi conto che a Catanzaro non c’è la categoria, ma c’è la squadra”.
“La squadra con la quale sono salito in B aveva come giocatori che non partivano titolari Antonio Morello, Biancone, Pasquale Luiso, Piemontese ed Evan Cunzi. Nicola Ascoli è andato poi a giocare nell’Empoli, Toledo all’Udinese e Ferrigno al Pisa dove fece cose importanti. Giorgio Corona è andato a giocare in Serie A. C’erano bei valori, in un campionato dove abbiamo battagliato con avversari incredibili come il Crotone, l’Acireale, la Sambenedettese, lo stesso Chieti, dove giocava Fabio Quagliarella. Come allenatori ricordo Gasperini a Crotone. Insomma, un campionato incredibile”.
“Il gol di Pompetti è stato più difficile di quello che ho segnato all’Olbia quando giocavo nell’Alessandria, in semifinale playoff. Lì io non avevo scelte e quindi ho calciato una palla che usciva da una respinta. Quello di Pompetti è più difficile tecnicamente. Ma stiamo parlando di ragazzi ed oggi il calcio è cambiato. I calciatori sono atleti, ma anche dei professionisti e oggi il giocatore non improvvisa e deve conoscere i movimenti, perché poi gli avversari ti studiano e ti vengono a prendere. Su una transizione sbagliata, rischi di prendere un gol. Il calcio si è evoluto ed usa la tecnologia, per far vedere a un giocatore quello che deve fare e sapere quello che non deve fare, perché magari non è nelle sue caratteristiche.
Noi facevamo un sacco di chilometri nel campo, magari tanti inutili. Oggi è vero, forse il calcio è più noioso, si vedono partite più statiche e più organizzate, però i giocatori hanno tante conoscenze in più. Questi ragazzi sono bravi, perché alla fine la palla viene sempre giocata con criterio, non è che si improvvisa. Quindi Pompetti è stato bravo, perché è molto bravo. Invece l’errore di Pontisso non è che gli ha condizionato la partita, ma è andato in autodifesa e si è nascosto dal gioco. Magari ha perso un po’ di sicurezza. In questo gioco succedono cose inspiegabili e lo vediamo anche a livelli altissimi, quando giocatori esperti che fanno delle super-partite commettono anche degli errori, che non sono spiegabili. Questo è un gioco dove la componente imprevedibilità non è gestibile ed è molto grande”.