A Catanzaro non è un compleanno come gli altri: è il giorno in cui la città celebra il suo calcio, la sua memoria e la sua bellezza più luminosa. Massimo Palanca – nato a Loreto il 21 agosto 1953 – compie 72 anni e il pensiero corre inevitabilmente a quel sinistro che ha cambiato per sempre la percezione del gioco sui Tre Colli. Per i tifosi è “O’ Rey”, per la letteratura popolare dello sport è il “Piedino d’oro” o il “Piedino di fata”, per Sandro Ciotti fu “uno dei migliori sinistri d’Europa”. Al di là dei soprannomi, resta un dato non negoziabile: nessuno ha incarnato il Catanzaro come lui. 367 presenze e 137 gol in giallorosso sono la cifra di un’appartenenza che travalica i numeri e abbraccia l’identità di una comunità.
Massimo Palanca, il mito e i numeri: i 13 “olimpici”, le promozioni, i traguardi da capocannoniere
L’epica di Massimo Palanca è fatta di dettagli irripetibili. Che cosa lo rende unico? Anzitutto la firma inconfondibile: 13 gol direttamente da calcio d’angolo, i celebri “olimpici”, tutti di sinistro, eseguiti con una naturalezza che ancora oggi lascia stupefatti. Poi la capacità di vivere nella storia del club come locomotiva di epoche diverse: dallo spareggio di Terni nel 1975 al riscatto con la promozione in Serie A (1975-76), fino al bis nel 1977-78 impreziosito dal titolo di capocannoniere della Serie B con 18 reti. Nel mezzo, la sua stagione più romanzesca: 1978-79, capocannoniere di Coppa Italia con 8 gol e la leggenda dell’Olimpico, il 4 marzo 1979, quando Roma–Catanzaro divenne la sua tela: tripletta giallorossa con un “olimpico” che ha fatto il giro d’Italia e fissato nella memoria collettiva un gesto tecnico difficile anche da raccontare.
Quella di Palanca è però anche la cronaca di un professionista totale: titolare di quattro titoli di capocannoniere (oltre a quelli già citati, la Serie C1 1986-87 con 17 reti), tre promozioni conquistate con il Catanzaro (due dalla B alla A, una dalla C1 alla B), e una Nazionale Sperimentale con Enzo Bearzot nel dicembre 1979 contro la Germania Ovest a Genova. La stagione del 7º posto in A (1980-81) – la migliore del Catanzaro nella massima serie – lo vide segnare 13 gol e imporsi come il cannoniere italiano con il maggior contributo alle fortune della propria squadra dopo Pruzzo. Sono coordinate che spiegano il perché di un soprannome impegnativo come “O’ Rey”: un re senza corona formale, ma con un regno che coincideva con ogni pallone calciato col sinistro.
L’arte del sinistro: quando il talento incontra la scienza del gesto
Per comprendere Palanca bisogna soffermarsi sulla qualità artigianale del suo calcio. Il piede n. 37 – un’anomalia biografica prima ancora che sportiva – obbligava a scarpe su misura firmate Pantofola d’Oro; la tecnica di calcio, costruita su appoggi minimi e una caviglia elastica, generava una traiettoria “sporca” e al tempo stesso chirurgica, capace di piegare l’aria e di sfruttare ogni spiffero nel corpo del vento. I suoi calci d’angolo non erano solo trovate di genio: nascevano da studio, ripetizione, correzione millimetrica del punto d’impatto, lettura della posizione del portiere.
Nei piazzati e nelle punizioni cercava la zona morta tra difensori e portiere, mentre in azione aperta aveva il dono – rarissimo – di vedere prima l’angolo utile, anche quando sembrava non esserci. Per questo, in un calcio spesso raccontato attraverso il muscolo e la forza, Palanca è ancora sinonimo di precisione e grazia: un’estetica che fece innamorare il Paese e che a Catanzaro divenne cultura popolare, come un ritornello che non smetti di canticchiare.
Massimo Palanca, andata e ritorno: l’esilio, la resilienza, la seconda giovinezza in giallorosso
La biografia sportiva di Massimo conosce anche inverni. Dopo la cessione al Napoli (1981-82) e il prestito al Como, le cifre non furono all’altezza della sua fama. È in quel ritorno a casa – 1986-87 – che si compie il cerchio: Serie C1, la fascia da capitano, 17 gol e la nuova promozione; poi altre tre stagioni in Serie B fino al 1990, con un Catanzaro competitivo che sfiorò la A per un niente nel 1987-88. È la storia di una resilienza senza vittimismo: un talento che non pretendeva attenuanti, ma che cercò nello stadio Ceravolo la propria rilegatura. Palanca chiuse la carriera lì dove l’aveva trasformata in leggenda, lasciando alla città una eredità molto più grande di una somma di gol.
L’eredità morale: cittadinanza onoraria e un modello di appartenenza
C’è un gesto che sintetizza tutto: il conferimento della cittadinanza onoraria di Catanzaro il 23 agosto 2023. Non è la didascalia di una carriera, è il sigillo di un rapporto. In una realtà che ha visto generazioni crescere allo stadio imparando la grammatica del tifo, Palanca rappresenta l’educazione sentimentale della città al calcio: rispetto dell’avversario, ma ferocia agonistica; talento personale, ma dentro un’idea di squadra; ambizione, ma senza smarrire cura e gratitudine. Per questo il suo nome continua a tornare ogni volta che a Catanzaro si parla di identità: perché incarna la sintesi rara tra campione e uomo di club.
Buon compleanno, Massimo. Nel giorno dei 72 anni di “O’ Rey”, non celebriamo solo un catalogo di gol, 13 “olimpici”, titoli di capocannoniere, promozioni e giornate indimenticabili; celebriamo il modo in cui il calcio può tenere insieme una città. Il Catanzaro di oggi, che guarda in avanti con ambizione e misura, sta in quel filo che parte dai tuoi corner impossibili e arriva alla voglia di chi ogni domenica spinge la squadra un metro più in là. Le Aquile hanno avuto grandi interpreti; la leggenda più grande, però, sei tu. E allora l’invito è semplice: raccontateci sui nostri social la vostra memoria di Palanca, il gol che non avete mai dimenticato, la sera in cui avete capito che quel sinistro parlava la lingua della Calabria. Le storie, come i campioni, vivono finché le condividiamo. Buon compleanno, Massimè.