Il telecomando sulla tavola, la partita che sta per iniziare, il link “che gira” nella chat. Quante volte, negli ultimi anni, il rito della domenica (e non solo) è scivolato dentro la scorciatoia del pezzotto. “Non costa nulla”, “lo fanno tutti”, “che vuoi che succeda”. Ecco, adesso succede. Per davvero. L’azione di contrasto alla pirateria digitale ha fatto un salto di livello: i titolari dei diritti hanno ottenuto dall’autorità giudiziaria i nomi di oltre duemila utenti – in 80 province – già sanzionati dalla Guardia di Finanza negli ultimi mesi. Con un obiettivo chiarissimo: avviare azioni risarcitorie in sede civile e amministrativa. Tradotto: se guardi il calcio in TV con abbonamenti IPTV illegali, rischi di dover pagare i danni a chi detiene i diritti.
Perché proprio adesso
Il lavoro d’indagine – condotto dal Nucleo Speciale Beni e Servizi della GdF di Roma e dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Lecce, coordinato dalla Procura – ha smantellato un’infrastruttura che ritrasmetteva contenuti in violazione della Legge sul diritto d’autore (n. 633/1941). Non si parla di blitz estemporanei: sono stati incrociati dati anagrafici, bancari e geografici per risalire non solo a chi gestiva la piattaforma, ma anche a chi la usava. L’autorizzazione della Procura a trasmettere i nominativi ai licenziatari accende ora il secondo tempo della partita: oltre alle sanzioni amministrative già comminate, si apre il capitolo dei risarcimenti. Da inizio anno, dicono i numeri dell’inchiesta, quasi 2.500 utenti pirata sono stati sanzionati e oltre 3.000 sono in fase di identificazione.
Sul punto è netto Stefano Azzi, ad di DAZN Italia: guardare illegalmente “non è furbo, non è gratis, non è senza conseguenze”. E quantifica la forchetta del danno: “diverse migliaia di euro”, l’equivalente di circa dieci anni di abbonamenti regolari. Non è uno slogan: è un promemoria di responsabilità. Gli fa eco Andrea Duilio, ad di Sky Italia: chi usa piattaforme illegali “compie un furto” che “mina interi settori economici e mette a rischio il lavoro di tante persone”. E dal mondo dei club arriva il timbro di Luigi De Siervo (Lega Serie A): “chi sbaglia paga. Finalmente volge al termine l’epoca dell’impunità”.
Cosa rischia chi usa il pezzotto
Qui non si parla di “furbetti del quartiere”, ma di utenti che diventano anello di una filiera illecita. Lo ricorda Crescenzo Sciaraffa, generale della GdF: la pirateria è un “moltiplicatore di illegalità”, alimenta lavoro nero, evasione, riciclaggio e interessi della criminalità organizzata. In più, espone chi la pratica a tre fronti: sanzioni, azioni risarcitorie e, non di rado, rischi informatici (dai malware ai furti di dati su carte e credenziali). È emerso anche un dato interessante: in molte notifiche a domicilio, alcuni sanzionati hanno collaborato, regolarizzando le posizioni e fornendo elementi utili per risalire agli organizzatori. Segno che quando la percezione del rischio diventa concreta, l’alibi evapora.
Il cuore del tema, però, non è solo giuridico. È culturale ed economico. Ogni abbonamento pirata toglie ossigeno a una catena che parte dalle leghe e arriva alle società, passando per produzioni, tecnici, giornalisti, steward, addetti. È un danno diffuso che, per forza di cose, impatta anche su chi vive il calcio nel proprio territorio.
Che c’entra il Catanzaro (e perché ci riguarda da vicino)
Qui il discorso si fa nostro. Un club come l’US Catanzaro vive di ricavi da stadio, sponsorizzazioni, contributi e della parte proporzionale che deriva dai diritti audiovisivi del sistema. Non parliamo solo di massimi sistemi: ogni euro “recuperato” alla legalità aiuta a tenere solide le fondamenta – prima squadra, settore giovanile, progetti sul territorio – e a mantenere competitivo l’intero movimento. La stessa società giallorossa, negli ultimi anni, ha dimostrato cosa significa strutturarsi: investimenti in organizzazione, crescita della Primavera, un lavoro costante su identità e comunicazione che ha riportato entusiasmo e famiglie al Ceravolo. Tutto questo vive se l’ecosistema regge. E regge se il prodotto calcio viene valorizzato e pagato in modo legale.
Non è questione di moralismi. È buon senso da bar dello sport: vuoi una squadra ambiziosa, vuoi i giovani Rispoli e Liberali che trovano spazio, vuoi un settore giovanile che sforna profili, vuoi una società che punta dritto alla stabilità in B? Allora serve che l’economia del calcio stia in piedi. E l’illegalità, alla lunga, ti presenta il conto: a chi trasmette, a chi investe, ma anche a chi guarda.
La scelta che resta a noi
Il segnale che arriva oggi è chiaro: i nominativi ci sono, le azioni civili partiranno, l’idea che “tanto non mi beccano” è fuori tempo massimo. La linea di chi detiene i diritti, delle piattaforme e della giustizia è finalmente coordinata: colpisce a monte (chi organizza) e a valle (chi consuma). Vale per tutti, anche per chi vive di calcio con la sciarpa giallorossa al collo.
Allora teniamoci stretti quello che conta davvero: lo stadio pieno, la partita guardata insieme, l’abbonamento regolare se scegli la TV. I soldi che risparmi oggi in un giro di link rischiano di diventare un conto salatissimo domani, in tribunale. Ma soprattutto rubano, pezzo dopo pezzo, il futuro del calcio che amiamo. Qui, a Catanzaro, lo sappiamo bene: la nostra forza è una comunità che rispetta le regole e spinge la squadra. Il resto sono scorciatoie che portano lontano dal campo.
E adesso, palla al centro: scegliamo da che parte stare.