sabato 27 Luglio 2024

L’Amarcord del giovedì, di Aurelio Fulciniti: Intervista esclusiva a Francesco Procopio

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La sua storia è quella di un ragazzino nato con la passione per il calcio, che inizia fin da piccolo a correre dietro a un pallone, rincorrendolo verso un sogno. Lui è Francesco Procopio, nato a Catanzaro l’8 maggio 1969. In giallorosso, in sole gare di campionato, ha all’attivo 5 presenze in Serie B, 14 partite e 1 gol in C1, 78 gare e 9 reti in C2 e – in aggiunta – due presenze in Coppa Italia, di cui una da brividi, la più bella e importante. Nei momenti difficili lui c’era, ma la sua parabola è iniziata a bordo campo, come fra poco ci racconterà. La sua carriera è stata segnata da un incidente e relativo grave infortunio. Gli avevano prospettato addirittura che non avrebbe potuto mai più giocare, ma non si è arreso. Ha dovuto rinunciare a una carriera più brillante, ma in campo ha sempre dato tutto. E anche oggi, che lavora in un altro settore, altrettanto stimolante, non smette di parlare e raccontare di calcio. E noi siamo qui, attenti, ad ascoltarlo.

Ci racconti come inizia la tua avventura in giallorosso? 

Io sono del 1969 e all’età di sei anni ho iniziato la mia trafila nel settore giovanile del Catanzaro, partendo dai “Pulcini” e iniziando la mia avventura nei giallorossi in cui si coronerà il mio sogno di giocare fra i professionisti in Serie B e in Serie C per diverse stagioni. Devo dire che sono stati anni meravigliosi, nei quali ho avuto il piacere e l’onore di lavorare con tecnici molto preparati che mi hanno formato e costruito come giocatore. Nominarli uno ad uno mi riesce difficile, perché sono stati davvero tanti. Ho giocato per tanti anni e quindi alcuni nomi faccio fatica a ricordarli. Con Fausto Silipo ho lavorato per tanti anni, ma voglio ricordare anche mister Resina e mister Cristofaro. Con loro ho trascorso i migliori anni della mia vita e li ricordo davvero con tantissimo piacere.

Il 22 febbraio 1981, al 41’ di Catanzaro-Fiorentina, Massimo Palanca segna su rigore il gol del momentaneo 2-0 e un ragazzino entra in campo a ribadire in rete nella porta di Giovanni Galli, che neanche se ne accorge. La partita finisce 2-2, ma adesso il risultato non conta più di tanto, perché quel ragazzino era Francesco Procopio.

Facevo il raccattapalle, ero sempre vicino la Curva Est, accanto al palo della porta. Non so, quel giorno fu una forma di entusiasmo, vedevo quella palla entrare dentro per segnare, correvo, le andavo incontro e ribadivo la palla in gol per sfogare le sensazioni che provavano questi grandi calciatori e che un giorno avrei voluto provare anche io. Questo è stato il leitmotiv della mia vita sportiva e senza il grave incidente che ho avuto e che mi ha costretto a giocare fra B e C, avrei potuto fare un altro tipo di carriera.

 Com’era la vita da raccattapalle? 

Facevo parte del settore giovanile e allora, come tutti, assistevo alle partite e ogni domenica ero sempre lì. Se la partita aveva inizio alle 14.30, noi stavamo già lì quattro ore prima ed eravamo già sistemati negli spogliatoi ad aspettare la squadra ospite. Ed è stato favoloso vedere Zico, Giancarlo Antognoni, Paolo Rossi, Liam Brady, campioni che hanno fatto la storia del calcio e li ho visti da vicino. Li ho praticamente toccati con mano, perché ci sono state situazioni in cui era così tanta la voglia di giocare con loro e di scambiare qualche passaggio che spesso e volentieri sono riuscito a farlo, durante i riscaldamenti. Ero sempre lì, a stargli vicino e a vivere questi momenti magici.

Qualche episodio che ti ha entusiasmato in maniera particolare?

Un episodio che non dimenticherò mai fu prima di un Catanzaro-Juventus. Non ricordo di quale anno, però militavo nel settore giovanile. Prima della partita ci sfidiamo fra squadre giovanili e io riesco a fare un gol incredibile e mi ricordo che tutto il pubblico applaudi questa giocata, che non era affatto male per uno della mia età. In quel momento, con uno stadio pieno di ventimila o trentamila persone, fu un’emozione incredibile nel vedere la palla entrare. Fu un pallonetto dalla grande distanza, quindi ancora più bello come gol.

Il 31 agosto 1986 si gioca Inter-Catanzaro, prima partita del girone di Coppa Italia. Si perde 4-1, ma all’80’ entri in campo e fai il tuo esordio nel calcio che conta. Quante emozioni ti ha lasciato, quell’incontro? 

La partita a San Siro contro l’Inter me la ricordo molto bene. Ricordo che arrivammo allo stadio due ora prima e scendemmo in campo per la solita passeggiata. Così visionammo un po’ il campo e fu meraviglioso vedere tutti i nostri tifosi sugli spalti che incitavano quel Catanzaro. E lì mi sentii veramente orgoglioso di far parte di questa squadra. Mi ricordo che, passeggiando per il campo, mi si avvicinò il mister Claudio Tobia e mi disse: “Tieniti pronto, che oggi ti faccio giocare”. Lì ebbi veramente uno scossone, perché sapere di far parte di un incontro contro l’Inter e contro grandi campioni fu veramente un’emozione indimenticabile, come anche le parole di Tobia. Particolare fu anche la discesa nella palestra di San Siro, con Salvatore Scarfone, Maurizio Pellegrino e Sandro Rispoli. Andiamo a iniziare il riscaldamento e ci troviamo davanti Marco Tardelli e Karl-Heinz Rummenigge, e poi Altobelli, Fanna, Bergomi. Ci guardammo e la battuta di Rispoli fu: “Ma questi stasera giocano contro di noi?” Una cosa meravigliosa, che sembrava impossibile. Facemmo una bella partita. Nel primo tempo abbiamo difeso con onore i colori giallorossi.

Nel campionato di Serie B 1988:89 esordisci anche nella serie cadetta. Che ricordi hai di quella stagione? 

Del campionato di Serie B 1988/89 ricordo il mio debutto in casa contro il Barletta, e pareggiammo 0-0. Poi mi viene subito in mente la gara contro il Piacenza, in casa, dove giocai titolare insieme a Palanca, io con il numero 9 e lui con l’11. Ma purtroppo si fece male dopo pochi minuti e dovette uscire. Perdemmo 2-0 perché c’era Beppe Signori dall’altra parte, che era incontenibile e fece pure un gol. Fu un campionato dove avrei meritato di giocare molto di più. Iniziammo con Burgnich e in quel primo scorcio di stagione lui spese delle bellissime parole e aveva una grandissima considerazione di me. Se fosse rimasto, credo che avrei giocato con più frequenza. Lui purtroppo pagò un rapporto non proprio idilliaco con Massimo Palanca, che era agli ultimi anni da calciatore e il tipo di allenamento che sosteneva era, diciamo, differenziato rispetto a quelli che erano i ritmi di noi giovani, ed era normale che lo facesse. Si preparava con una sua metodica di allenamento che lo portava, la domenica, a fare sempre la differenza. Solo che a Burgnich alcune cose non andavano giù e una volta che eravamo in ritiro al Motel Agip prima della partita in casa e Palanca chiese un mezzo bicchiere di vino rosso, Burgnich se ne accorse e andò su tutte le furie. Ci fu una scaramuccia che si unì alle altre e allora fu più la squadra che prese posizione contro il mister, più che il presidente, perché la posizione di classifica non era ancora difficile e a fine campionato ci salvammo solo all’ultima giornata, vincendo 5-2 in casa contro l’Udinese.

Nei primi periodi difficili che seguirono, tu eri in campo. Che ricordi hai di quelle stagioni travagliate? 

Dopo il campionato di Serie C1 in cui abbiamo vinto lo spareggio a Lecce contro il Nola e poi siamo stati retrocessi per l’illecito sportivo ho continuato a rimanere nel Catanzaro, perché ero legato da un contratto triennale e il presidente non volle cedermi alla Salernitana, allora allenata da mister Gianni Simonelli, con il quale avevo vinto un campionato di C1 a Nola ed ero stato anche capocannoniere della squadra. Quindi restai a Catanzaro, sapendo che non era facile. Oggi c’è l’esempio di Iemmello, che ha girato questa parabola secondo la quale nessuno è profeta in patria e ha dimostrato che si possono fare grandi cose, pur essendo di Catanzaro e avendo tutte le pressioni contro. Ho giocato campionati dove il presidente Albano aveva investito tanto per cercare di risalire il più presto possibile e per un motivo o per l’altro non siamo riusciti a vincere. Mi ricordo di quando perdemmo un campionato ad Altamura, dove avevamo l’occasione di tornare subito in C1, ma perdemmo in maniera proprio rocambolesca.

Veniamo al presente. Stai seguendo ancora il Catanzaro? 

Sto seguendo la squadra, perché è un amore che non finisce mai. Penso che lo porterò nel cuore fino all’ultimo dei miei giorni. Il Catanzaro è una cosa che mi rende orgoglioso, soprattutto adesso che siamo risaliti a un ottimo livello. Sono molto, molto felice di questo e spero che possiamo essere la squadra fra le sei dei playoff che riesce a fare questo miracolo. Sarebbe una bella cosa poter salire direttamente in Serie A. Non riuscirò ad essere presente, perché purtroppo sono abbastanza lontano, però vedrò la partita collegato in tv e darò il mio sostegno alla squadra. Faccio le mie congratulazioni a Noto, che è riuscito a ricreare di nuovo una grandissima società, con un ottimo allenatore, che ha dimostrato veramente di avere le qualità giuste per prendere in mano questa squadra e portarla dove l’ha portata. L’unico appunto che si può fare riguarda il settore giovanile, dal quale sono nato io e tantissimi altri miei compagni calciatori. Potrei citarne trenta o quaranta che nei miei anni hanno fatto il salto di categoria, giocando dalla Primavera alla prima squadra e sono arrivati in Serie C, B ed anche in Serie A. Oggi a mio parere c’è ancora molto buio per quanto riguarda il settore giovanile e mi auguro che anche in questa direzione si possano fare delle cose importanti, che questa terra merita, perché ci sono dei bei talenti e veri, bravi giocatori che hanno bisogno di potersi proporre e di bravi allenatori, come è accaduto a me con Fausto Silipo. Professionisti che mi hanno insegnato a vivere e a fare tecnicamente quello che era nel mio DNA. Erano tutti uno più bravo dell’altro e questo ci vorrebbe oggi. Mi piacerebbe un Catanzaro odierno con un settore giovanile all’altezza della prima squadra.

Oggi vivi a Innsbruck, in Austria, in cui ti occupi di moda e di abbigliamento ad alto livello, con un’avviata attività commerciale. Quanto ti manca ciò che hai lasciato? 

Ho avuto due grandi passioni, nella vita: il calcio e la moda. Di entrambe ne ho fatto un lavoro. Sono partito, ma un conto è partire da giovani e un altro a 45 anni. Mi manca molto, della mia terra

Intervista ESCLUSIVA di Aurelio Fulciniti 

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