sabato 27 Luglio 2024

L’Amarcord del giovedì, di Aurelio Fulciniti: Intervista ad Adriano Banelli

Benvenuti alla quindicesima puntata della rubrica dedicata ai protagonisti e alle partite più significative nella storia dell’US Catanzaro. In questa occasione, rivivremo momenti chiave attraverso la testimonianza di Adriano Banelli, con la riproposizione di un’intervista di qualche anno fa.

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Umbro, legato fortemente alla sua regione, ha trovato a Catanzaro una città di adozione che non ha mai lasciato e che lo ha accolto, fin dal lontano 1967, nel modo più caloroso che possa offrire, e cioè grazie al legame con la squadra di calcio e alla simbiosi, vale a dire al riconoscersi e identificarsi nei colori giallorossi. Nato a Città di Castello (Perugia) il 5 giugno 1948, centrocampista, arriva a Catanzaro nel 1967 e ci gioca per ben 12 stagioni consecutive. Nove campionati in Serie B, con 270 presenze e 18 reti, spesso decisive. E poi c’è la Serie A: tre stagioni, con 66 presenze e 6 gol, altrettanto indimenticabili. In totale, 336 presenze e 24 gol da giallorosso. Numeri di un certo peso, di quelli che trasformano un calciatore qualunque in una “bandiera” e perciò in una fonte inesauribile di storie di calcio da raccontare. E la prima domanda che gli facciamo non può che riguardare l’inizio della sua carriera in cima ai Tre Colli, e cioè l’impatto iniziale con una realtà – calcistica e non – così diversa da quella di origine: “Quando sono arrivato avevo 19 anni. All’inizio è stata un’esperienza traumatica, soprattutto perché ero molto lontano da casa. Ma dopo pochi giorni mi ero già ambientato. A darmi una mano sono stati soprattutto i miei compagni di squadra di allora, calciatori già esperti come Tonani, Maccacaro, Lorenzini, Cimpiel, che fino ad allora avevo visto solo sulle figurine Panini. Entrare nei meccanismi della squadra e nelle simpatie del pubblico non è stato difficile”.

Gli chiediamo di raccontarci un episodio indimenticabile della sua lunga carriera in giallorosso e lui ride. Ce ne sono talmente tanti, logicamente non sa da che parte cominciare. D’altronde possiamo capirlo: c’è veramente l’imbarazzo della scelta. “I ricordi belli sono moltissimi – sostiene Banelli – ma inizio subito dalla prima delle tre promozioni in Serie A, quella del 1971, perché fu la più inaspettata e come tale la ricordo in tutti i particolari. Riuscimmo a trascinare con noi i tifosi di tutta la regione, tranne quelli di Reggio Calabria. Ricordo ancora l’atmosfera tesa dei derby con la Reggina giocati in campo neutro a Firenze, per timore degli scontri. E poi il primo campionato che ho giocato in Serie A, dove ho segnato tre gol che sono valsi due vittorie in casa con Sampdoria e Bologna, oltre a quello che ha deciso il pareggio con il Varese e che è stato il primo gol segnato dal Catanzaro in Serie A. Un altro campionato indimenticabile è stato quello 1974/75, in B, dove segnai la rete decisiva che ci portò allo spareggio di Terni contro il Verona. Peccato, perché ci tenevo a vincere nella mia regione”.

In genere le “bandiere” nel calcio sono dei simboli quasi intoccabili, e perciò vengono rispettate. Ma non esiste un solo calciatore che nella sua carriera non sia stato mai trattato male o contestato, almeno una volta. Anche se nel caso di una “bandiera” di solito i tifosi ci passano sopra, e preferiscono i momenti belli. Ad Adriano Banelli chiediamo se è stato mai deluso e lui diventa subito serio, iniziando a parlare apertamente e a dire le cose con il loro nome. “Da calciatore – racconta Banelli – non dimentico di essere stato silurato, nel 1979, dopo 12 stagioni nel Catanzaro, senza che nessuno mi avvisasse e senza neanche una parola di ringraziamento, come se fossi l’ultimo arrivato. Né i tifosi, né la stampa e neppure la società spesero una parola nei miei riguardi. È pur vero che era l’epoca del passaggio di presidenza da Nicola Ceravolo ad Adriano Merlo, ma ancora oggi dico che c’è modo e modo di essere trattati. E lì ho capito che in certi momenti, nel mondo del calcio, tutto ti puoi aspettare tranne che il rispetto. Ma l’ho capito ancora di più nel 1992, quando fui chiamato ad allenare il Catanzaro al posto di Franco Selvaggi. I tifosi, nella polemica col presidente Albano, contestavano me e inneggiavano al vecchio allenatore. Sono cose che fanno male. Oggi sono contento che il Catanzaro faccia dei bei risultati con la “Berretti” ma ci tengo a precisare che io nel 1992, alla guida di quella squadra giovanile, ho vinto il campionato nazionale. Ma anche un successo del genere, sempre per via della stessa polemica col presidente, fu sottovalutato e quasi disprezzato”. 

Il posto più consueto dove capita di incontrare Adriano Banelli è sempre lo stadio “Nicola Ceravolo”, quando il Catanzaro gioca in casa. Capita spesso di vederlo uscire dallo stadio e vedere gente, anche sconosciuta, che lo chiama per nome: “Adriano”. Lui si ferma e scambia volentieri una breve impressione sulla partita. E del Catanzaro attuale, cosa ne pensa? “Seguo la squadra, soprattutto in casa, e posso dire che è tecnicamente valida e bene amalgamata. Le concorrenti sono molte e bene agguerrite, ma io dico che se continua così la squadra può giocarsi la promozione sino alla fine”.

Aurelio Fulciniti

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