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venerdì 18 Ottobre 2024

Intervista esclusiva a Claudio Piccinetti e tanti aneddoti: “Ancora oggi faccio il tifo per il Catanzaro”

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(Catanzaro 1974-75. Claudio Piccinetti è il terzo in piedi da sinistra)

Centravanti combattivo e di grande fisico, ma tormentato dagli infortuni. Avrebbe meritato di più, ma per lui il calcio è vita e continua ad esserlo, come passione e professione. Claudio Piccinetti, nato a Ponsacco (Pisa) il 31 marzo 1952, compie la sua trafila nelle giovanili della Fiorentina e da lì parte, raccontando di sé: “Ho iniziato a tredici anni e nel 1967-68 ho vinto il campionato degli Allievi nazionali. Poi passo alla Primavera, con Sergio Cervato allenatore e Alessio Tendi, Paolo Rosi e Mimmo Caso fra gli altri compagni, che poi giocheranno per diversi anni in prima squadra”. 

La prima gara nella massima serie arriva puntualmente: “Ho esordito in Serie A, prima con Oronzo Pugliese e poi con Nils Liedholm come allenatori. Mi chiamavano “Piedone” Piccinetti, ma avevo appena il 42”. 

Piccinetti chiama in causa i suoi due primi allenatori da professionista. E dal momento che si tratta di due protagonisti – completamente diversi, per temperamento, per carriera da calciatori e allenatori e soprattutto per modo di intendere ed applicare dettami tecnici e tattici – della storia del calcio italiano è bene parlarne in maniera approfondita, anche per farli conoscere meglio a chi fino ad ora – per motivi più che altro anagrafici – non ne ha mai sentito parlare, o perlomeno, soltanto di nome. 

L’esordio dell’attaccante toscano è datato 7 marzo 1971, quinta giornata di ritorno, in Fiorentina-Torino 1-1, al 53’, sul risultato di 0-1 per un gol di Claudio Sala realizzato cinque minuti prima. Il tecnico, Oronzo Pugliese, fa entrare Piccinetti al posto del libero Giuseppe Brizi, dando più peso all’attacco e la Fiorentina pareggia al 60’ con la rete di un altro difensore, il terzino sinistro Giuseppe Longoni

A questo punto diventa obbligatorio parlare di Pugliese, il “Mago di Turi”, nato nell’omonima cittadina in provincia di Bari il 5 aprile 1910. Dopo una carriera da calciatore – terzino, per la precisione – decisamente modesta e con il suo apice in oltre 100 presenze nel Siracusa in Serie C, dopo un bel po’ di gavetta si fa notare come allenatore all’inizio degli anni Sessanta, alla guida del Foggia, che porta dalla Serie C alla A, nel 1964, e il 31 gennaio 1965 si guadagna ufficialmente il titolo di “Mago” battendo la “Grande Inter” di Helenio Herrera allo “Zaccheria” per 3-2. Dopo tre stagioni consecutive alla Roma ed una al Bologna, nel 1969 Pugliese passa ad allenare il Bari – la sua squadra del cuore – sempre in Serie A, ma senza troppa fortuna. 

Dalla 16° giornata del campionato 1970-71, “Don” Oronzo passa alla Fiorentina, con il compito di condurre i viola ad una salvezza che in quel momento sembra quasi impossibile, subentrando a Bruno Pesaola, il mitico “petisso”, che pure due anni prima a Firenze aveva vinto lo scudetto. In quindici partite, Pugliese compie un’impresa oggi pressoché impossibile: salvare la Fiorentina con una sola vittoria (1-0 in trasferta alla terz’ultima giornata in casa del Lanerossi Vicenza, con gol di Alessandro Vitali al 53’), ben dodici pareggi e due sconfitte. Un miracolo difficilmente ripetibile, nell’era dei tre punti. 

Grande trascinatore e motivatore, Oronzo Pugliese, in anni nei quali l’allenatore stava sempre seduto in panchina, a rischio di essere costantemente richiamato dall’arbitro se si alzava di frequente, fu un pioniere degli allenatori showman di oggi che passeggiano in lungo e in largo nell’area tecnica. In quegli anni c’era solo la panchina e lui era lì, costantemente in piedi ad urlare, richiamare ed incitare i suoi calciatori, senza un attimo di pausa. Ed in più aveva anche la scaramanzia, quando ad esempio cospargeva la panchina di sale prima delle gare difficili, come quelle a San Siro, per esempio, ispirando fra l’altro un notissimo film dove il protagonista, non a caso, porta il suo nome. 

(Oronzo Pugliese, il “Mago di Turi”)

E non si può parlare di grande calcio, senza citare il “Barone” Nils Liedholm. Nato a Valdemarsvik l’8 ottobre 1922, grande giocatore nel Milan e nella Nazionale svedese vicecampione del Mondo nel 1958, sconfitta in finale dal Brasile di Pelè dopo che lo stesso “Barone” aveva aperto le marcature, da allenatore è stato altrettanto celebre. È stato sicuramente un innovatore del calcio, ma sempre con garbo e ironia, non disgiunte da serietà professionale, sportività elevata ai massimi livelli ed onestà intellettuale. Il suo credo tattico si può sintetizzare, oltre che in un’applicazione della zona che porterà sempre il suo nome e il suo imprinting, anche in alcune citazioni, profetiche ad in gran parte attualissime: pioniere del possesso palla, in quanto “se la palla ce l’abbiamo noi, sono gli altri a doversi preoccupare”, e non perdeva la lucidità e l’intensità tattica neanche in inferiorità numerica, perché “in dieci si gioca meglio”, mentre aveva ragione anche sugli schemi, salvo poi essere smentito dall’attuale carenza di fantasia e tecnica, sostenendo che “gli schemi sono bellissimi in allenamento: senza avversari riescono tutti”. 

Fra le sue vittorie da allenatore, sono da citare due scudetti unici nel loro genere: il primo è stato quello vinto con il Milan nel campionato 1978-79, cosiddetto della stella, con un collettivo di gioco e di elementi come non si era mai visto nel calcio italiano fino ad allora, con 10 giocatori in gol su 17 e con Albertino Bigon, il primo falso nueve della storia, capocannoniere con dodici gol. Ma è il secondo scudetto ed essere entrato anche nella leggenda, quello ottenuto con la Roma al termine della stagione 1982-83: la zona di Liedholm risaltò in maniera ancora più spiccata, ma c’è da aggiungere che con Vierchowod stopper, Di Bartolomei libero con compiti di costruzione, la fantasia di Falcao e Bruno Conti e i gol di Pruzzo fu tutto più semplice, se vogliamo. A quella Roma mancò solo la Coppa dei Campioni, sfumata nel 1984 con la sfortunata e controversa sconfitta nella finale di Roma contro il Liverpool

A Firenze, dove lanciò in prima squadra Giancarlo Antognoni, Liedholm schierò Piccinetti titolare in tre gare del campionato 1971-72: a Bologna (1-1), in casa contro il Verona (2-1) e a Torino contro i granata (1-2). 

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(Il “Barone” Nils Liedholm)

Claudio Piccinetti viene a Catanzaro nel campionato di Serie B 1974-75, fra le speranze positive di tanti tifosi, perché in quel periodo, grazie ai numerosi contatti del presidente Nicola Ceravolo, difficilmente si sbagliava nella scelta dei calciatori emergenti, provenienti dai settori giovanili delle grandi squadre. È stato il caso di Claudio Ranieri, ma ne potremmo citare tanti altri. Quel Catanzaro aveva una difesa d’acciaio (18 gol subiti in 38 gare) ed un attacco un po’ meno forte (27 reti segnate), ma con un Palanca appena arrivato e già scalpitante e voglioso di mettersi in mostra.  “Arrivai a Catanzaro dopo un infortunio, per uno stiramento. Gianni Di Marzio mi conosceva da quando allenava le giovanili del Napoli. Ed ho segnato anche delle reti importanti, contro il Como, il Perugia, la SPAL e la Sambenedettese. Era un bel gruppo con dei giovani emergenti, ma anche una squadra con grandi giocatori, Palanca soprattutto, ma anche Spelta e Ranieri. Ho solo bei ricordi e il pensiero di essere ricordato dai catanzaresi per me è una grande gioia, una delle massime soddisfazioni della mia carriera. Catanzaro me la ricordo non bene, ma di più. Io ci sono stato benissimo”. 

Piccinetti colleziona 22 presenze e segna 4 reti. La squadra, dopo aver vinto all’ultima giornata in casa contro il Palermo, il 22 giugno 1975, con il gol di Adriano Banelli al 66’, disputerà a Terni lo spareggio per la promozione in A, contro il Verona. Ma i giallorossi, quel 26 giugno, perderanno di misura per un gol segnato da Mazzanti al 25’ in una trasferta funestata fra l’altro dalla morte di un tifoso, Carlo Maria Talarico, in un incidente stradale. L’attaccante toscano, racconta così quella giornata: “Venivamo da una partita faticosa, quella col Palermo. E lo stesso giorno ci fu il matrimonio di Banelli a cui eravamo tutti presenti. Forse in quei giorni ci rilassammo un po’ troppo A Terni, contro il Verona, non giocammo tutti al 100percento”. 

Con la maglia del Novara, Piccinetti sarà poi in campo il 18 aprile 1976, in una partita rimasta a suo modo storica. La potremmo definire, senza enfasi, “la falsa partita”. Quel giorno Catanzaro e Novara si affrontano e la gara finisce 1-1 con reti di Piccinetti al 65’ e di Palanca a cinque minuti dal termine. L’incontro, arbitrato dall’internazionale signor Riccardo Lattanzi di Roma, prosegue tranquillo fino al 75’ quando uno dei guardalinee, il signor Marcello Percopo (l’altro giudice di linea era il signor Vittorio Lattanzi, fratello dell’arbitro e anch’egli direttore di gara in A e B), travolto in maniera fortuita proprio da Palanca è costretto ad abbandonare il campo per infortunio. Al suo posto, per sostituirlo, si presenta Mario Negro, titolare di una stazione di servizio e presente a bordo campo in qualità di fotografo, che mostra la sua tessera di arbitro. Lattanzi, come da regolamento, sostituisce il guardalinee e l’incontro prosegue tranquillamente. Il 20 aprile, su tutti i giornali esce la notizia che il presidente Nicola Ceravolo ha presentato una riserva scritta in quanto Negro risultava sospeso dai ranghi federali e decaduto: dunque, non aveva titolo a fare il guardalinee. Dunque, l’errore era stato di Lattanzi e la partita si doveva ripetere. Iniziava quindi una battaglia a colpi di giustizia sportiva, con il Novara che sosteneva la responsabilità oggettiva del Catanzaro. La Corte d’Appello Federale solo a metà giugno si esprime in favore del Catanzaro. Piccinetti, a distanza di anni commenta così quella decisione: “Ceravolo era una bravissima persona, un presidente doc, come un babbo per me. Ma sono certo che la responsabilità oggettiva per aver fatto entrare in campo un arbitro squalificato fosse del Catanzaro. Oltretutto ci toccava giocare la gara di ripetizione di mercoledì, a soli tre giorni di distanza dall’altra, con Udovicich, Veschetti e Menichini squalificati. Ci mancava praticamente tutta la difesa”. 

La partita viene ripetuta il 17 giugno 1976 e finisce 3-0 per il Catanzaro, con gol di Palanca al 23’ e 32’ e di Improta al 61’. La domenica successiva i giallorossi vincono 2-1 a Reggio Emilia contro i granata locali e conquistano la Serie A. 

(Catanzaro-Novara 3-0, il primo gol di Palanca)

Oggi come ieri, Piccinetti è sempre immerso nell’argomento calcio: “Ora sono responsabile di una scuola calcio ed ho collaborato anche con la Fiorentina, dove ho scoperto Cristiano Zanetti, Flachi, Malusci e tanti altri che hanno fatto carriera. All’Empoli invece Lodi, Moro e Raggi che ha giocato anche in Francia nel Monaco. Ed ho allenato anche la primavera del Pisa. Se occorresse un esperto in settori giovanili io scenderei anche giù da voi. Adesso mi dedico alla scuola calcio e commento la Fiorentina in radio da opinionista e non manco mai allo stadio, in tribuna d’onore, da ex viola. Sono anche nello staff degli opinionisti di Lady Radio con Roberto Pruzzo, Giovanni Galli e Celeste Pin. Sono stato anche vicino ad allenare la prima squadra in passato, ma poi hanno preferito nomi altisonanti”. 

Ovviamente, anche a distanza, segue ancora e con interesse i successi dei giallorossi. E ne parla con vivo interesse. “Faccio il tifo per il Catanzaro ed anche per il Novara, ma il Catanzaro è un’altra cosa. È facile fare i complimenti a una squadra che nella stagione scorsa ha vinto meritatamente il campionato ed è approdata in Serie B ed è stata la squadra più intraprendente, la più coraggiosa e quella che ha fatto vedere un calcio veramente moderno. L’ho seguita sia nello scorso torneo ed anche ora, all’inizio del campionato, guardo tutte le partite e mi ha fatto veramente molto piacere vedere i percorsi di gioco che l’hanno portata a questi grandi risultati. È chiaro, e qui faccio subito gli scongiuri, che il campionato di Serie B è insidioso, però mi auguro che la squadra prosegua a grandi livelli sul piano del gioco e del risultato, continuando un percorso che potrà dare grandi soddisfazioni ai tifosi giallorossi, che approfitto sempre per salutare”. 

Intervista esclusiva di Aurelio Fulciniti

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