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martedì 1 Aprile 2025

Nostalgia e modernità: Giovanni Caterino tra i ricordi del Catanzaro e il calcio attuale

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“Ogni volta che respiro l’odore dell’erba di un campo di calcio, mi ritorna addosso l’infanzia”. Sono le parole di Jorge Valdano, autentico filosofo del calcio e grande fuoriclasse, attaccante dello storico Real Madrid degli anni Ottanta e della Nazionale d’Argentina, con la quale si laureò Campione del Mondo nel 1986, al fianco di Diego Armando Maradona. 

Sono parole suggestive in quanto vere ed insieme leggendarie, perché riportano ai prati, ai campi spelacchiati, più o meno erbosi, alla strada e soprattutto agli oratori – ormai scomparsi – ed alle piccole società di calcio dove crescevano calciatori veri e non quasi costruiti in laboratorio come quelli di oggi. Saper giocare a calcio ed avere tecnica e personalità era davvero importante. Si giocava tutti insieme e i più bravi emergevano in maniera genuina e autentica, non con la selezione intrisa di darwinismo che vediamo oggi. 

Ringraziamo di aver vissuto quegli anni e anche Giovanni Caterino, terzino sinistro ed esterno di centrocampo, nato a Milano il 21 gennaio 1972, è diventato calciatore in quei periodi davvero felici. Cresciuto nella Snia Milano, passa quindi alla Solbiatese e poi a un Siracusa pieno di giovani in C1. Una squadra interessante, quella allenata dal cremasco Adriano Cadregari, che però non ha troppa fortuna e si salva sono grazie al ripescaggio. 

Ma il Palermo si accorge di Caterino e lui arriva in Serie B, ci resta per quattro campionati ed ha come allenatori Enrico Nicolini, Gaetano Salvemini, Giampiero Vitali ed Ignazio Arcoleo. Sono stagioni a fasi alterne, ma Caterino colleziona ben 107 presenze in  gare di campionato, segnando un gol in Palermo-Salernitana 2-1 del 7 gennaio 1996. 

Dopo qualche stagione in giro per l’Italia arriva nel campionato di C1 2003-2004 a far parte dello straripante Catanzaro di Piero Braglia allenatore e Giorgio Corona giocatore simbolo. E Caterino si esalta: la sua generosità e la sua grinta lo renderanno fra i beniamini del pubblico. Sarà una promozione storica, ma sfruttata male nel campionato successivo. Nella disastrosa stagione di B, con un organico sproporzionato e una lunga serie di circostanze negative che porteranno alla rovinosa retrocessione, Caterino dopo le 20 presenze della prima stagione ne collezionerà solo 6 nella seconda. Ultimo lampo, il cross vincente per Arcadio in un Catanzaro-Pescara 1-0, fra le poche gioie stagionali.

Ma ora ascoltiamo ciò che ci ha raccontato, in una proficua conversazione fra il calcio di ieri e di oggi. 

“Io penso che innanzitutto a Catanzaro adesso c’è una proprietà importante che fa andare le cose in un certo verso ed è già un punto a favore. Si è cambiato tanto, è cambiato l’allenatore, la partenza è stata un po’ a rilento e logicamente un allenatore nuovo vuole un qualcosa di “suo” e quindi bisogna cercare di assimilarlo il prima possibile. Però il Catanzaro si sta stabilizzando in questa categoria in maniera importante. Stanno facendo qualcosa di veramente bello e ora lo diventa ancora di più”. 

“A me annoia un po’ il calcio di adesso, ma più che altro in Italia, dove si vedono certe mode che molti si ostinano a seguire. Il problema parte dai settori giovanili, dai giovani. Una volta si diceva che “negli ultimi trenta metri chi sa, sa”. Ecco, quella era la libertà che c’era. Ed era anche più bello per chi veniva a vedere le partite”. 

“Il fatto che certe squadre attuano un altro ritmo rispetto al Catanzaro o giocano più in verticale rispetto ad altre è più una questione di caratteristiche dei giocatori. A me piace un calcio più verticale, come nella Bundesliga o in qualche altro campionato estero e ti diverti di più a guardare le partite. Poi ognuno deve trovare il risultato in base al proprio modo di intendere il calcio e di farlo, ovviamente, con le caratteristiche dei giocatori che ha. Caserta ha trovato una quadra, perché finora ha perso pochissimo. Ha fatto anche tanti pareggi, ma ha pure vinto bene. Per adesso è promosso a pieni voti”. 

“Noi giocavamo a cinque, ma è vero che partendo con tre difensori, difendi in maniera diversa. Hai più compiti e poi dipende dall’allenatore, se mette uno più offensivo o meno offensivo. Io lo ero molto di più e nel Catanzaro di Braglia dall’altra parte c’era Tommaso Dei che andava di mano a cercare la profondità rispetto a me. Poi dico sempre che si devono trovare gli equilibri, perché quelli fanno la differenza. Il mio ricordo più bello è di quando abbiamo vinto il campionato, dopo la vittoria di Ascoli contro il Chieti”. 

“Io dico che ogni settimana devono pensare esclusivamente alla singola partita e basta, ma lo sanno anche loro. Poi quello che verrà e ovviamente i risultati che faranno, ci faranno capire dove si andranno a posizionare. I playoff sono sempre una lotteria e più del piazzamento è importante il come ci si arriva, a livello di condizione. Se ci arrivi con tutti gli uomini è un vantaggio, ma se ti mancano nel momento cruciale allora va molto meno bene”. 

“Ho giocato quattro anni a Palermo. Loro hanno un organico importantissimo, ma non sempre si riesce a esprimere, per tanti problemi, anche con l’allenatore. Invece a Catanzaro c’è un entusiasmo incredibile che ho vissuto sulla mia pelle dove si sa dare ai ragazzi quel qualcosa in più, che in tanti altri club non si trova”. 

“Nella cavalcata che abbiamo fatto noi verso la B eravamo un gruppo fantastico sotto tutti i punti di vista. Eravamo uniti da quando avevamo iniziato il ritiro. Appena sono arrivato mi sono sentito a casa. C’era un qualcosa di diverso. Se tu vai a smantellare un gruppo così e metti tanti giocatori non determini in positivo. Noi eravamo con un organico di quaranta giocatori. Una vera follia”. 

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