Su Gianni Di Marzio si stanno scrivendo tante cose, adesso che non c’è più. Lo ricordiamo noi per aver portato il Catanzaro per la seconda volta in Serie A nel 1976 e lo ricordano i tifosi del Catania per aver ottenuto con lui un’altra promozione nella massima serie, anno 1983. E lo ricordano anche i tifosi del Napoli, dove nel campionato di Serie A 1977-78, appena arrivato da Catanzaro per allenare nella città in cui era nato l’8 gennaio 1940, ottenne un meritatissimo quinto posto (con piazzamento per la Coppa Uefa) e raggiunse la finale di Coppa Italia, persa per pura sfortuna contro l’Inter per 2-1 all’Olimpico di Roma. Anche Gianni Brera, grande giornalista ma spesso critico e alcune volte offensivo con tutto ciò che veniva dal sud, nella sua “Storia critica del calcio italiano” lo definisce senza indugi “un tecnico intelligente e preparato”. E sempre da Napoli ci ricordano che fu il primo italiano a scoprire Diego Armando Maradona, quando ancora il mondo intero non si era accordo del suo immane e impareggiabile talento. Ma era l’estate del 1978 e gli stranieri non potevano giocare in Italia. Chissà, come sarebbe andata, altrimenti…
Di queste cose se ne è parlato tanto, ma a noi interessano di più i ricordi dei tifosi, degli ex calciatori e della gente comune. E a Catanzaro se ne stanno leggendo tanti. Come accade per le interviste, il valore storico di un racconto è dato dalla testimonianza di chi c’era e di chi ha vissuto fatti e aneddoti in prima persona.
C’è chi sottolinea che Di Marzio “ha segnato un’epoca nel calcio calabrese”, aggiungendone le doti di umane di un personaggio “vulcanico, istrionico, grandissimo motivatore e sobillatore (sportivamente parlando) di folle”. Si fa cenno inoltre alla sua grande furbizia tattica e alla capacità di “ricavare il massimo dal materiale a sua disposizione”.
In tanti ricordano i suoi ritiri pre-campionato alla “Giurranda” a Platania e la sua attenzione al sostegno del pubblico. Fu lui, per esempio, a fare accorciare i gradoni della “Curva Ovest”. Se la curva diventò poi una “fossa dei leoni” il merito fu suo. E qualcuno in queste ore aggiunge: “Rimane un mistero su come riuscì a convincere l’Amministrazione comunale”.
È stato un motivatore con le sue “prime squadre”, ma anche con le selezioni delle squadre giovanili, a cui dedicava la restante parte del suo lavoro.
Tutti, ma proprio tutti lo ricordano come “un grande condottiero”, con la voglia di scriverlo in maiuscolo. E una frase su tutte risulta indicativa e ne riassume tante altre: “Una mosca la faceva diventare un leone”. Frase d’altri tempi, quelli dei trascinatori.
Aurelio Fulciniti