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mercoledì 11 Dicembre 2024

Addio Gianni Di Marzio, Catanzaro non ti dimenticherà

Su Gianni Di Marzio si stanno scrivendo tante cose, adesso che non c’è più. Lo ricordiamo noi per aver portato il Catanzaro per la seconda volta in Serie A nel 1976 e lo ricordano i tifosi del Catania per aver ottenuto con lui un’altra promozione nella massima serie, anno 1983. E lo ricordano anche i tifosi del Napoli, dove nel campionato di Serie A 1977-78, appena arrivato da Catanzaro per allenare nella città in cui era nato l’8  gennaio 1940, ottenne un meritatissimo quinto posto (con piazzamento per la Coppa Uefa) e raggiunse la finale di Coppa Italia, persa per pura sfortuna contro l’Inter per 2-1 all’Olimpico di Roma. Anche Gianni Brera, grande giornalista ma spesso critico e alcune volte offensivo con tutto ciò che veniva dal sud, nella sua “Storia critica del calcio italiano” lo definisce senza indugi “un tecnico intelligente e preparato”. E sempre da Napoli ci ricordano che fu il primo italiano a scoprire Diego Armando Maradona, quando ancora il mondo intero non si era accordo del suo immane e impareggiabile talento. Ma era l’estate del 1978 e gli stranieri non potevano giocare in Italia. Chissà, come sarebbe andata, altrimenti…

Di queste cose se ne è parlato tanto, ma a noi interessano di più i ricordi dei tifosi, degli ex calciatori e della gente comune. E a Catanzaro se ne stanno leggendo tanti. Come accade per le interviste, il valore storico di un racconto è dato dalla testimonianza di chi c’era e di chi ha vissuto fatti e aneddoti in prima persona.

C’è chi sottolinea che Di Marzio “ha segnato un’epoca nel calcio calabrese”, aggiungendone le doti di umane di un personaggio “vulcanico, istrionico, grandissimo motivatore e sobillatore (sportivamente parlando) di folle”. Si fa cenno inoltre alla sua grande furbizia tattica e alla  capacità di “ricavare il massimo dal materiale a sua disposizione”.

In tanti ricordano i suoi ritiri pre-campionato alla “Giurranda” a Platania e la sua attenzione al sostegno del pubblico. Fu lui, per esempio, a fare accorciare i gradoni della “Curva Ovest”. Se la curva diventò poi una “fossa dei leoni” il merito fu suo. E qualcuno in queste ore aggiunge: “Rimane un mistero su come riuscì a convincere l’Amministrazione comunale”.

È stato un motivatore con le sue “prime squadre”, ma anche con le selezioni delle squadre giovanili, a cui dedicava la restante parte del suo lavoro.

Tutti, ma proprio tutti lo ricordano come “un grande condottiero”, con la voglia di scriverlo in maiuscolo. E una frase su tutte risulta indicativa e ne riassume tante altre: “Una mosca la faceva diventare un leone”. Frase d’altri tempi, quelli dei trascinatori.

Aurelio Fulciniti 

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