Nel cuore pulsante del tifo giallorosso, il nome di Massimo Palanca continua a risuonare con la forza di una leggenda. Con 478 presenze nei campionati professionistici, 147 in Serie A e 115 gol segnati, è stato più di un semplice attaccante per Catanzaro: è stato un simbolo, un punto di riferimento, un Re. E oggi, a distanza di anni, con lo stesso amore di sempre, torna a parlare della sua squadra del cuore e della città che lo ha adottato come figlio.
In esclusiva ai microfoni di LaC News24 Palanca si racconta. Una testimonianza autentica, tra nostalgia, riflessioni tecniche e amore sincero per il calcio e per Catanzaro.
L’inizio di un sogno: da Porto Recanati al Frosinone
«Mio padre era il custode del campo sportivo di Porto Recanati, e io sono cresciuto a pane e pallone. Finita la scuola correvo a giocare. Porto Recanati era un paesino, ma ha dato al calcio più di quanto si pensi. Nel 1973 il salto nel professionismo con il Frosinone, che mi ha fatto crescere come uomo e come calciatore».
La stagione con i ciociari fu eccezionale: capocannoniere con 18 reti nel girone C di Serie C, il più ostico. Un exploit che lo proiettò al centro dell’interesse nazionale.
«Dovevo andare alla Reggina, ma misi una clausola: se fossero retrocessi, sarei rimasto a Frosinone. Retrocessero, e così arrivò il Catanzaro, che mi seguiva già da tempo con Umberto Sacco. Il primo anno fu duro, ma al secondo arrivò la promozione diretta in Serie A. Dalla delusione dello spareggio perso col Verona, nacque una vittoria indimenticabile».
Catanzaro, la casa dell’anima
Palanca ha legato il suo nome alla città dei Tre Colli più di quanto abbiano fatto molti calabresi di nascita.
«A Catanzaro sono diventato uomo. Ho vissuto momenti splendidi e altri più difficili, ma ogni cosa mi ha arricchito. È nato anche mio figlio, e sono stato nominato cittadino onorario. Per me è la città più famosa del mondo. Avevo tante offerte, ma il mio cuore era lì».
Il Piedino d’Oro, come veniva chiamato, incarnava la passione di un popolo intero. Palanca era capace di segnare gol olimpici direttamente da calcio d’angolo, infiammando il pubblico e facendo esplodere il “Militare” prima e il Ceravolo poi.
Palanca e Iemmello: il filo rosso tra due epoche
La domanda è inevitabile: Palanca o Iemmello? Il confronto tra le due icone giallorosse accende le discussioni, ma l’ex bomber spegne ogni polemica con classe.
«Iemmello? Prima deve arrivare a 11 campionati… Scherzo ovviamente. Ogni epoca ha il suo Re. Non si devono fare paragoni: io giocavo un altro calcio, ma auguro a Pietro di segnare ancora tanti gol per fare felici i tifosi».
Pietro Iemmello oggi rappresenta il cuore pulsante del Catanzaro, ma Palanca sottolinea quanto il gioco collettivo sia fondamentale.
«Io sono diventato capocannoniere in Serie B, Serie C e Coppa Italia grazie ai miei compagni. Da soli non si fa nulla. Anche Pietro lo sa bene: serve il supporto del gruppo per fare la differenza».
E sulla squadra attuale non ha dubbi: «Il Catanzaro sta facendo un grande percorso. Con basi solide si può sognare la Serie A. Caserta ha dimostrato di essere una scelta vincente, nonostante lo scetticismo iniziale».
L’azzurro mancato: un sogno sfiorato con la Nazionale
La Nazionale è sempre stata il grande sogno per molti calciatori. Palanca lo ha sfiorato, ma senza rimpianti.
«Nella mia epoca il capocannoniere della Serie A era Pruzzo, ma davanti a lui c’erano Rossi, Bettega, Graziani, Altobelli. Gente che ha vinto il Mondiale del 1982. Io, Pruzzo e Selvaggi eravamo dietro, e va bene così. Ho sempre pensato che si debba partire dai vivai, dalle Under 15 e Under 17, se si vuole costruire una Nazionale forte».
Un concetto che torna spesso nelle sue parole: la crescita parte dalla base, e senza una struttura solida non si arriva ai vertici.
Cosenza e Catanzaro, due realtà a confronto
Il calcio calabrese oggi vive due situazioni diametralmente opposte: da una parte Catanzaro, lanciatissimo; dall’altra Cosenza, in difficoltà.
«La retrocessione del Cosenza sarebbe un danno enorme. Ma la differenza sta nella stabilità societaria. Il Catanzaro ha una dirigenza forte, una guida solida. Il Cosenza ha invece sbagliato a cambiare guida tecnica più volte: è mancata personalità, anche fuori dal campo. L’esonero e il richiamo di Alvini sono l’esempio di una mancanza di progettualità».
Palanca non fa sconti, ma lo fa con spirito costruttivo, consapevole che il calcio in Calabria ha bisogno di più realtà forti, non di guerre fratricide.
Numeri da leggenda
Un breve riepilogo della carriera di Massimo Palanca dice già tutto:
- 478 presenze nei campionati professionistici
- 147 in Serie A
- 115 gol complessivi
- 22 gol in Coppa Italia su 36 presenze
- 4 titoli di capocannoniere:
- 1973/74 con il Frosinone (Serie C)
- 1977/78 con il Catanzaro (Serie B)
- 1978/79 con il Catanzaro (Coppa Italia)
- 1986/87 con il Catanzaro (Serie C1)
Numeri da autentica icona del calcio italiano, e non solo calabrese.
L’eredità di O’Rey
Il soprannome di O’Rey, che richiama il mitico Pelé, non fu casuale. A Catanzaro Palanca è stato un semidio del pallone, e ancora oggi i suoi gol vengono raccontati come leggende.
Ma più dei numeri, sono le sue parole e la sua umanità a lasciare il segno. Non esistono solo gol o tiri a giro: c’è una città, un popolo, e un legame che trascende il tempo.
E proprio su questo chiude l’intervista con un sorriso: «Catanzaro è casa. Sempre. Sogno di rivederla in Serie A, perché questa gente lo merita. E se ci riuscirà, sarà anche un po’ come esserci riuscito di nuovo anch’io».
E oggi, mentre Iemmello continua a scrivere la sua storia, il mito di Palanca non sbiadisce. Resta incastonato nella memoria collettiva di una città e di un popolo, che in ogni gol del presente, vede ancora un riflesso di quel passato leggendario.