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venerdì 13 Dicembre 2024

Quel numero nove e i suoi compagni – Capitolo trentesimo e ultimo

Di Adriano Macchione

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Addio Angelo

Era la fine di un ciclo. Era il momento degli addii. Era tempo di rifondazione. La Serie A, a parte l’epilogo agonistico negativo, aveva lasciato nelle casse sociali una caterva di soldi. Grandi incassi abbinati a stipendi come al solito striminziti e una campagna acquisti a costi quasi zero (eccetto la “folle” spesa per Maldera) avevano riempito gli scrigni e i forzieri della sede di Via San Giorgio. Ceravolo, a questo punto, capì che la Serie A era un affare. E che fece? Decise di riprovare a tornare immediatamente nell’Olimpo, senza perdere tempo, senza aspettare manna dal cielo, senza lungaggini di programmi a lunga scadenza. Tornarci come? Approntando uno squadrone capace di fare una passeggiata o capace almeno di un arrivo al traguardo sudando non più di sei camicie. Ed ecco allora sul taccuino fior di calciatori in arrivo e partenze di giocatori che avevano fatto il loro tempo, “giocatori zavorra” e inutili e anche di qualche giocatore che
purtroppo non era più una certezza. Alcuni dei nuovi erano giocatori dal nome altisonante. A sentirli la gente nemmeno ci credeva e a chi ci credeva venne la pelle d’oca. Sentite: Francesco “Ciccio” Rizzo, cosentino di Rovito, 29 anni, mezzala, ex nazionale azzurro ed ex di Cagliari, Fiorentina e Bologna, Carlo Petrini, 24 anni, centravanti, proveniente dal Varese ed ex del Milan e del Torino, Aquilino Bonfanti, 29 anni, ala sinistra, proveniente dal Catania, ex riserva del Milan e dell’Inter, un bomber che in Serie B aveva poco eguali, Claudio Bandoni, 33 anni, portiere, lanciato negli Anni Sessanta proprio dal Catanzaro e poi portiere di tante squadre di buon livello come Napoli, Fiorentina (da 12°) e Lazio, Sergio Ferrari, 29 anni, mediano, proveniente dal Verona ed ex Roma (arrivò con un forte conguaglio di 200 milioni dal “rivale” Verona in cambio di Busatta). Infine, udite udite, tornò sui suoi passi Monticolo che, dopo un anno passato al Milan da riserva (con una sola presenza) accettò finalmente di venire a Catanzaro. Altri nuovi erano il portiere Di Carlo (chiamato a fungere da 12° e il terzino Gasparroni (fortemente voluto dal nuovo tecnico Lucchi ma che funse da riserva). A novembre, inoltre, arrivò il centrocampista Potito Pota dal Legnano (giovane di talento che però non esplose). Questi nuovi giocatori, sulla carta tutti forti, bravi, famosi, si aggiunsero al
“meglio” del Catanzaro: Zuccheri, D’Angiulli, Maldera, Silipo, Banelli, Braca, Gori e Spelta (più il giovane Garito). Ed ecco le cessioni: oltre Busatta, furono ceduti i due portieri Pozzani e Bertoni, Pavoni, Benedetto, Franzon, Bertuccioli, Bassi, Carella e Ciannameo. E poi lui, anche lui, Angelo Mammì. Errore imperdonabile da parte dei dirigenti. Angelo fu messo sul mercato e trovò come acquirente l’Alessandria, in Serie C, squadra che con Marchioro allenatore puntava alla Serie B e che acquistò il centravanti giallorosso insieme al compagno Flavio Pozzani. Così Mammì fu mandato nelle nebbie del Nord, lui sangue calabrese e temperamento mediterraneo, lui che aveva sempre giocato al Sud. Fu una partenza mesta, con una stretta al cuore, per lui e per i tifosi che, in fondo, gli volevano molto bene. In Piemonte, comunque, Angelo Mammì non resistette e non si fermò molto. Contò solo 4 presenze senza reti.

Fiori per Angelo Mammì.

Poi, al mercato di ottobre, tornò al Sud, al Messina, sempre in Serie C, ma era un Messina malmesso, che sperava solo di salvarsi dalla retrocessione in Serie D. In attacco, c’era un altro ex centravanti del Catanzaro, l’antitesi di Mammì, in quanto ad amore da parte del pubblico del “Militare”: Mario Zimolo. Alla fine di quel campionato 1972-73 il Messina non raggiunse l’obbiettivo prefissosi e, terzultimo, retrocesse malamente in Serie D. Mammì contò solo 14 presenze. La sua parabola calcistica, quella ad alto livello, volgeva inevitabilmente al termine. Anzi, praticamente si è era chiusa nel solo giro di un anno. E il Catanzaro dell’immediata promozione in Serie A? Il Catanzaro, con una formazione tipo che presentava Bandoni; Zuccheri Banelli; Ferrari Maldera Monticolo; Spelta Braca Petrini Rizzo Bonfanti, più i vari Silipo, D’Angiulli, Pota, Gori, Gasparroni, Garito e Di Carlo, la Serie A la vide molto vicina. Ma solo col binocolo. Un fallimento. Dopo quell’amara stagione 1972-73, Mammì, purtroppo, era ormai al canto del cigno: cadde nell’anonimato del calcio. Trovò posto, nella stagione 1973-74, solo in Serie D, nelle Paganese, nella squadra della cittadina della moglie. In due anni dalla Serie A alla quarta serie, che “mistero buffo” è il calcio. Eppure Angelo, sempre modesto ed entusiasta come un ragazzo, si adeguò con umiltà alla nuova situazione, vinse il campionato, diventò l’idolo incontrastato di Pagani, trentamila abitanti. Le grandi cronache, però, non si interessarono più di lui, sembrava svanito nel nulla, figurarsi se poteva interessare a qualcuno dove fosse finito Mammì. Mammì nella Paganese segnò 14 reti ma la Paganese arrivò solo al quarto posto, a ben 12 punti dalla capolista. A Catanzaro, nel frattempo, dopo il fallimento del “primo” Catanzaro del ritorno in Serie B, la società si trovò davanti ad un bivio. Rifare la squadra? Oppure
riprovarci con un nuovo allenatore? Si scelse la seconda via. Confermato lo squadrone dei grandi nomi, lo si affidò al “cavallo di ritorno” Gianni Seghedoni, reduce dall’esperienza di Vicenza finita in malo modo, con un bell’esonero. Sulla carta, in verità, il Catanzaro non avrebbe potuto trovare di meglio. Invece, a dimostrazione che nel calcio i miracoli non si ripeterono, la squadra giallorossa, nonostante Seghedoni alla sua guida, non decollò e chi ne fece le spese, stavolta, fu proprio il tecnico, esonerato con la morte nel cuore da Ceravolo. Nella nuova stagione, la storia di Mammì si dipanò come un quieto ruscelletto verso il mare dell’anonimato totale. Confermato dalla Paganese, Mammì regalò ancora dei piccoli sussulti ai suoi ultimi simpatizzanti: vinse il campionato con la Paganese, contò 29 presenze, segnò ancora 14 reti. Era la stagione 1974-75. Per Angelo Mammì fu però l’ultima gioia di calciatore. A 33 anni, infatti, non trovò conferma per la Serie C. E appese le scarpe al chiodo. Ma non ci si fece caso. Era l’anno in cui il Catanzaro, con il nuovo allenatore Gianni Di Marzio, rifondato sui giovani e qualche giocatore esperto, perse la promozione in Serie A nel fatidico spareggio di Terni contro il Verona con una rete del già nominato Mazzanti. Tra i tanti ragazzi giunti in giallorosso c’era anche Massimo Palanca. Arrivava dalla Serie C ma al primo anno non aveva sfondato. Nel cuore della gente c’era ancora Alberto Spelta. Più di ogni altro. Con lui, più che mai, si riviveva l’atmosfera della Serie A perduta. A Mammì, ormai, non pensava più nessuno. E anche Catanzaro, con molta tristezza, i suoi ultimi tifosi ne avevano perso irrimediabilmente le tracce.

Mammì, nel dopo carriera, provò pure a fare l’allenatore, qualche capatina in campionati semiprofessionistici o allenando i ragazzi. E Catanzaro? Nel dopo carriera Angelo Mammì non ebbe club a lui intitolati. Non andò a Copanello a fare la vecchia gloria pallonara. Più che di gloria, il suo nome si ammantò, senza bisogno di alcuna mediazione, di poesia. Gli ultimi allievi furono i giovani della sua Paganese. Poi, un certo giorno, stop, tutto finito. La morte, perfida, lo colse come fa con tanti, con quel solito male incurabile. Quanto tempo era passato da Catanzaro-Bari a Napoli? Quanto da Catanzaro-Juventus? Ed ecco che riaffiorò il ricordo. Di quel calciatore corretto, leale, quasi timido ma che aveva un cuore grande e coraggio da vendere. Per lui in molti spesero parole di eccezionale stima. Tutti all’improvviso lo ricordarono. Era buono, religioso, con un grande senso della famiglia. E non erano parole, quelle che si dissero, dette per dire, ma dettate da un grande sentimento di amicizia e di affetto. Mammì era veramente così. E la semplicità l’aveva dipinta nel viso. Con quei capelli lontani da chiome e tagli alla moda (mentre imperversavano capelloni e protestatari), con quel suo vestire decoroso e normale (mentre in molti erano istrioni e figli dei fiori), con quei suoi occhi grandi, malinconici e sempre come sgranati in una supplica (mentre in tanti ostentavano una durezza artefatta per celare il coraggio mancante). Per questo Mammì fu amato, al di là dei gol. E se un pittore avesse voluto disegnare “un calabrese”, storie di sacrifici e di lotte, di speranze e di sogni che chissà quando si sarebbero avverati, di sofferenza atavica per un destino sentito avverso, avrebbe disegnato Mammì. Riposa Angelo, e non temere quello che pensavi fosse accaduto. Nessuno ti ha dimenticato né ti dimenticherà mai. Resterai un soffio, un alito di vento, un nome nella mente.

“Da qualche ora l’arbitro ha fischiato
la fine, solo due o tre minuti di recupero,
giusto il tempo di scrivere un biglietto d’addio”

Antonio Porta ( in “L’arbitro fischia la fine”)

Ciao, ragazzi…
1970-71

Flavio Pozzani
Franco Marini
Gianfranco Bartoletti
Adriano Banelli
Fausto Silipo
Michele Benedetto
Arturo Massari
Albino Barbuto
Pierluigi Busatta
Mario Musiello
Alfredo Ciannameo
Arturo Bertuccioli
Roberto Franzon
Paolo Braca
Maurizio Gori
Emilio Barone
Elio Romeo

1971-72

Flavio Pozzani
Luciano Bertoni
Sergio Zuccheri
Giampiero D’Angiulli
Luigi “Gino” Maldera
Franco Pavoni
Fausto Silipo
Michele Benedetto
Pierluigi Busatta
Adriano Banelli
Roberto Franzon
Paolo Braca
Arturo Bertuccioli
Andrea Bassi Angelo Carella
Maurizio Gori
Alberto Spelta

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