di Adriano Macchione
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Il più bello del reame
Esaurita la Coppa Italia e le ultime amichevoli, le attenzioni degli addetti ai lavori si spostano
naturalmente ed inevitabilmente sul campionato. Sta per iniziare una stagione che si rivelerà epica,
un’avventura indimenticabile. Nel ciclismo domina Merckx, nel motociclismo sfreccia Giacomo
Agostini, sono gli eroi del tempo, i campioni extracalcistici più acclamati e imbattibili, dei veri
titani. A Catanzaro, però, nella fantasia dei tifosi, all’improvviso dominerà un solo campione: il
Catanzaro. Chi per primo conquista il cuore della città è lui, l’allenatore Gianni Seghedoni. Un bel
tipo, non c’è che dire.
Fuori dal campo si rivela un “signore”, gentile e sorridente, spontaneo ed educato. Trasmette molto
calore umano, non rifiuta mai una stretta di mano, una pacca sulle spalle da dare o da ricevere, un
caffé offerto da qualche tifoso.
Durante gli allenamenti settimanali, invece, il mister appare trasformato, presentandosi in maniera
completamente differente. Ben lontano da orpelli, animato da un sentimento guerresco, prepara i
ragazzi caricandoli al massimo e inculcando una grinta feroce e ferina.
Alla partita, poi, sin dalle prime uscite della squadra, diventa una storia a sé stante. E’ vulcanico,
passionale, di grande temperamento. Incita, si alza dalla panchina, s’arrabbia, manda all’attacco,
manda alla malora, manda al diavolo, manda a quel paese. Quando s’inalbera, diventa più alto del
pino della curva, che lo guarda riverente. E se il ponte vibra, la gente ben presto non si preoccupa
più. Sa che è Seghedoni che grida allo stadio. Roba da cartolina, come il ponte Morandi, come il
Duomo. In pratica, è come se ai bordi del campo ci fosse un capotifoso. E sul terreno di gioco,
addirittura, un giocatore in più.
Seghedoni, comunque, oltre a dimostrare di possedere doti di grande carattere, nel corso del
campionato rivela anche sorprendenti doti di autentico stratega e di raffinato tecnico. Prepara la
partita nei minimi particolari, studia attentamente le marcature degli avversari, passa giorni a
meditare se scegliere questo o quel giocatore, poi, al momento delle scelte definitive, spesso tira
fuori la sorpresa che nessuno si aspetta, la mossa imprevedibile. E anche durante la gara, in molte
occasioni, dimostra le stesse doti di attenzione e fantasia tattica. Oltre ad una specie di sesto senso
nel leggere l’evoluzione della partita che gli consente di trovare, di volta in volta, la mossa giusta,
lo spostamento più idoneo di un giocatore, la sostituzione azzeccata, l’asso nella manica. Alcune
sue scelte tattiche (prima o durante lo svolgimento della partita) sorprenderanno anche i critici dal
palato più difficili e diventeranno davvero indimenticabili. Un genio, il “primo” Seghedoni
catanzarese. Uomo entusiasta e allenatore con tanta voglia di vincere, sicuramente non l’aveva
confessato a nessuno ma, immaginandone la tempra, si può ben dire che sin dal momento del suo
arrivo nel Catanzaro, non aveva mai pensato ad un campionato da semplice salvezza. Aveva
sempre pensato, invece, a qualcosa di più. Senza spaventarsi dinanzi alla fantasia di un’eventuale
promozione. Un sogno accarezzato nell’intimo, il sogno e il segno di un coraggioso. Così come era
il guerriero-gentiluomo Gianni Seghedoni da Modena.
Qualcuno tra i lettori avrà pensato: ma questo è Di Marzio… No, Di Marzio sarebbe venuto
qualche tempo dopo e sarebbe stato lui ad “essere” come Seghedoni. Tra i due, comunque, la
differenza rimane palese. Più genuino il modenese, personaggio dal grande cuore, senza finzioni,
spontaneo, più sergente che generale. Più “costruito”, da sé stesso e dagli altri, il napoletano.
Istrionico, camaleontesco, napoleonico. Seghedoni era deamiccisiano. Di Marzio, aveva poco di
Edoardo De Filippo e molto di Mario Merola. A Di Marzio, non dimentichiamolo, non può essere
perdonata una gaffe tipicamente da “allenatorato” italiano: negli inverni giallorossi andava
ripetendo che sui campi pesanti ci volevano macigni, troppo leggerino quel Palanca, meglio
Michesi, meglio La Rosa, poi meglio Sperotto, eccetera, eccetera.
Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato può cambiare: è calcio, non matematica!
La domanda è d’obbligo: come nasce tatticamente il Catanzaro di Gianni Seghedoni, quel
Catanzaro che si rivelerà grandissimo? Già in Coppa Italia, un Seghedoni sapiente tecnico prova e
riprova i suoi giocatori alla ricerca della migliore formula. E dimostra di saperne una più del
diavolo quando inventa, di sana pianta, nuovi ruoli ai suoi allievi.
In pratica il tecnico modenese, costretto a fare le nozze con i fichi secchi, ci mette molto, ma
davvero molto di suo, costruendo un Catanzaro quasi completamente nuovo con i soliti vecchi
giocatori. Un vero miracolo di fantasia e d’intuizione calcistica. Ma guardiamoli da vicino, questi
cambiamenti fuoriusciti dalle provette del laboratorio “seghedoniano”.
L’ultima di Coppa Italia con la Lazio, o meglio un Chinaglia fromboliere che aveva trascinato tutto
l’attacco biancazzurro, costa il posto all’acerbo Barbuto. Seghedoni, infatti, sceglie per il ruolo di
libero il riflessivo Benedetto (fino ad allora sempre e solo stopper) con il giovane Silipo che, da
riserva eterna promessa, diventa finalmente titolare della maglia n. 5 di marcatore centrale.
Massari, invece, libero della stagione precedente, è impiegato come terzino destro, in concorrenza
con il vecchio capitan Marini (che infine, però, giocherà più partite). Banelli, generalmente
centrocampista laterale, diventa il nuovo terzino fluidificante sulla sinistra (con risultati
straordinari). Bertoletti, negli anni precedenti titolare inamovibile, complice anche degli infortuni,
diventa praticamente un’illustre riserva. Musiello, da sempre centravanti, dopo un grave infortunio
dell’inamovibile Bertuccioli, ne prenderà il posto di centrocampista e con risultati
sorprendentemente molto soddisfacenti.
Tanto lavoro per il tecnico giallorosso, dunque, il lavoro come pane quotidiano, ma anche amore,
sin dal primo giorno, per questa sua quasi personale creatura. E tanta fantasia per inventarsi una
squadra a sua somiglianza, battagliera e di carattere.
Queste, in linea di massima le scelte, ma c’è da dire, per amor di precisione, che il Catanzaro
edizione 1970-71, durante il campionato, sarà una squadra camaleontica, che cambierà volto con
molta frequenza, partita dopo partita, in rapporto all’avversario di turno o alla tattica da adottare.
La formazione base da noi proposta, è quella derivante dal conteggio delle presenze a fine torneo
(anche se nel corso della stagione, di volta in volta, molti giocatori saranno utilizzati in più di un
ruolo).
Questo lo schieramento da immortalare:
Pozzani (38); Marini (31) Banelli (33-1-3); Busatta (34-3-1) Silipo (31-4-0) Benedetto (36); Gori
(34-5-4) Musiello (31-3-8) Mammì (31-4-2) Franzon (35-1-0) Braca (37-2-5).
Largo spazio troverà nel corso del campionato Ciannameo (26-8-7) mentre Bertuccioli (13-1-0),
dopo aver iniziato il campionato da sicuro titolare della maglia n. 8, come già anticipato, sarà
messo fuori combattimento, ancor prima della fine del girone d’andata, da un tremendo infortunio.
Altri giocatori che avranno spazio e faranno la loro parte saranno Bartoletti (17-1-0), Massari (11-
1-0) e Barbuto (11-0-1), mentre sprazzi di gloria troverà anche il giovane Barone (3-0-3).
n.b. il primo numero tra parentesi indica le gare complessive disputate dal giocatore, il secondo quante volte è stato
sostituito e il terzo quante volte è subentrato come 13°, al tempo, unica giocatore ad andare in panchina.
Che bella compagnia
Un miracolo firmato da Seghedoni, certo, ma con tutti i giallorossi che durante il campionato si
comporteranno in maniera eccezionale, questo il Catanzaro della grande avventura che andremo a
narrare. Come dimenticare? Ancor prima di narrare le singole partite, eccoli sfilarli alla moviola
del ricordo. Eccoli giocare. Eccoli correre. Eccoli esultare, ridere, piangere, disperarsi. Ecco la loro
gioventù di calciatori.
Pierluigi Busatta, il mediano, rimane sempre nell’arco della stagione il pezzo pregiato della
squadra, una pertica che prende palla a centrocampo e da lì punta la porta avversaria. Per lui esiste
solo la verticalizzazione: richiesta del triangolo e via! E ogni tanto piazza anche qualche bella
botta dal limite.
Ma anche l’agile e sorprendente Flavio Pozzani, il duttile ed acrobatico Adriano Banelli e il
guizzante Maurizio Gori s’impongono all’attenzione generale come mai nelle precedenti stagioni.
Pozzani vola che sembra caricato a molla. Le movenze sono del gatto di campagna sempre all’erta.
Banelli è una faina sotto la porta avversaria, di testa, di piede e in rovesciata.
Gori vorrebbe scartare anche i fili d’erba del prato. Quando quel “mezzo tappo” non è in giornata
si ubriaca da solo ma quando la luna è giusta, allora diventa un tappo di champagne, che salta su e
non ne segui la piroetta, uno spettacolo mai visto. Non lo si prende nemmeno con le schioppettate
e scarta e ridicolizza gli avversari, poi torna indietro, li scarta di nuovo e il pubblico (ed io) in
estasi. Un’ala alla Meroni, zazzera e dribblings, o meglio un George Best (capelli compresi) in
miniatura.
Dei giocatori non più giovanissimi, il “professore” Roberto Franzon, il resuscitato Paolo Braca e lo
sfortunato Arturo Bertuccioli sono quelli che maggiormente strappano applausi e plausi.
Franzon è un ragionatore, un regista classico. Certe volte è talmente lento che pare perdere tempo
a cercare compasso e squadretta. Ma quando poi parte il lancio, il pallone è un airone che si dispiega in volo, tanto è arioso e tanto è chiaro quel viaggiare che sa dare alla domata sfera di
cuoio.
Braca, ala tornante dai capelli rossicci, reduce da un grave infortunio procuratogli da tal
Montepagani in un Catanzaro-Ternana del 1968-69 in cui per la nebbia si vedeva e non si vedeva,
si era ripresentato in campo dopo quasi due anni di riposo forzato. Da picchiato diventa picchiatore
e ne dispensa a destra e a manca senza tirchieria e senza vergogna. Poi è bravo ad entrare palla al
piede in area con passo breve e pare li si legga il pensiero: <<appena mi sfiori mi butto e urlo come un ossesso che è rigore per forza, se non mi tocchi mi butto da solo e urlo come un forsennato ed è rigore lo stesso…>>.
Bertuccioli, con un buon passato in Serie A con la Spal, è giocatore di grande rendimento. Abbina
tecnica e polmoni d’acciaio. Purtroppo durante il campionato sarà vittima di un serio infortunio, al
punto da rimetterci in pratica la carriera.
Il Catanzaro, una bella squadretta, senza divi e primedonne ma dove tutti hanno il loro spazio, il
loro ruolo, una loro valenza.
Michele Benedetto, nel ruolo di libero, calmo, con un’ottima visione di gioco, si rivela un
giocatore di buon affidamento. Potenza del nome, quella sua calma, la serenità che trasmette in
campo, il suo stesso volto, paiono rievocare inspiegabilmente qualcosa di monasterale.
Franco Marini è la solita “vecchia volpe”, esperto, maturo, freddo, ci prova con le buone e quando
serve passa alle cattive.
Arturo Massari, ex libero a volte svagato e avventuroso, diventa un terzino grinta e cuore, sempre
appiccicato alle costole dell’avversario di turno.
Alfredo Ciannameo si rivela un buon jolly, dotato di un tiro forte e preciso,quando gioca quel tiro
diventa una speranza in più per il tifoso proteso al sogno al gol.
Mario Musiello, ex centravanti di peso, diventa un macigno a centrocampo contro il quale vanno a
sbattere gli avversari.
Dei giocatori locali, Fausto Silipo, alla prima stagione da titolare, si afferma come giocatore di
buone prospettive future. Forse è troppo buono d’indole per fare il terzino o lo stopper in tempi in
cui il concetto di “zona” è lungi da venire e dare randellate è la migliore qualità per un difensore.
Albino Barbuto si dimostra elemento coriaceo, di grande umiltà e con molta dedizione alla causa.
Emilio Barone, mezzalina esile come un grissino, darà sfoggio di buona tecnica a dispetto di un
fisico che sembra una scommessa.
Un po’ sottotono, rispetto ai precedenti campionati disputati con la maglia giallorossa, risulta il
bilancio di Gianfranco Bertoletti, probabilmente per colpe non sue ma conseguenza di un rapporto
non certo idilliaco (vox populi…) con Seghedoni.
E del grande Angelo Mammì, che dire? Sarà… Mammì, e ciò basterà nei secoli.