Di Adriano Macchione
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Rientro nei ranghi
Il pallone chiama e l’Italia risponde. In settimana, il 7 ottobre, la città di Genova è stata funestata
da una tragica alluvione, con decine di vittime. Agli occhi della gente, sul posto e in televisione, si
presentano spettacoli di desolazione e di morte. Poi, per fortuna, ritorna il campionato e la nazione,
giorno 11, ritorna al sorriso. Tutto dimenticato. O quasi. La carretta della vita, in un modo o
nell’altro, bisogna pur tirarla avanti.
In Serie B, alla quarta giornata, il Catanzaro capolista è ospite del Como allenato da Maino Neri,
amico, concittadino e addirittura vicino di casa a Modena di Gianni Seghedoni.
In riva al Lario, naturalmente, affluiscono sugli spalti molti emigrati: calabresi di Genova
sparagnina, di Torino “fiattizzata”, di Milano polentona, della Svizzera felice, pulita e precisa e
della Germania meccanizzata e tetragona. Nelle fila giallorosse rientra Bertuccioli al quale cede il
posto, nientemeno!, che Busatta (che poi subentrerà solo a partita in corso). Seghedoni propone
così il Catanzaro vincente di Arezzo, confermando il glaciale Marini e l’arrembante Massari e
naturalmente Banelli dopo la splendida performance contro il Pisa. Nell’ambiente la fiducia è
incommensurabile. Ma il sogno di un’altra brillante affermazione della squadra giallorossa dura
pochissimo: dopo appena tre minuti gli astuti comaschi conducono già due a zero. Apre le
marcature al 2° Magistrelli, il tempo di fare la palla a centro e raddoppia Pittofrati. Seghedoni e i
tifosi quasi non ci credono. Dov’è finito il Catanzaro? Per Pozzani, che a fare la mammoletta
immacolata ci aveva preso gusto, sono questi i primi gol subiti dopo 272 minuti di imbattibilità.
Ma il Catanzaro, nonostante il disastroso avvio, ha sangue nelle vene e subito riapre i conti. Al 6°,
infatti, accorcia le distanze Braca che fa rinascere le speranze giallorosse. L’incontro, però, dopo
quell’avvio al fulmicotone, scade di colpo. Il Como, pur giocando in casa, al grido “rintaniamoci
nel bunker” si chiude a riccio in difesa orchestrato dall’ex libero giallorosso Ghelfi e per il
Catanzaro ogni cosa si fa più complicata. Poi, sul finire dell’incontro, proprio quando i ragazzi di
Seghedoni stanno producendo il massimo sforzo per pareggiare le sorti della gara, l’arbitro
concede al Como un discutibile rigore per un fallo molto dubbio del piratesco Massari ai danni di
Magistrelli. Lo stesso Magistrelli inesorabile trasforma la massima punizione.
Mancano alla fine appena otto minuti e i giochi sembrano fatti. Ma il Catanzaro, questo Catanzaro
plasmato da Seghedoni, non è ancora domo e si butta in avanti con la forza della disperazione. Ma
solo a quattro minuti dalla fine Busatta, smarcato da un bel colpo di tacco di Braca, azzecca la
bordata giusta e accorcia le distanze.
Poi, però, non c’è più tempo e il Catanzaro deve rassegnarsi alla prima sconfitta stagionale.
Quando si parte per il ritorno a casa, in riva al Lario di manzoniana memoria, più dell’addio ai
monti, immalinconisce l’addio alla vetta della classifica. L’afferma perentorio un giornalista in
vena di letteratura. Il pensierino culturalmente era una chiavica (non scandalizzatevi, era parola
sempre cara a Montale, no?), soprattutto a distanza di pochi giorni dall’assegnazione dei premi
Nobel, uno dei quali, naturalmente, era stato attribuito anche per la Letteratura, quella vera. Primo
in classifica? Al tifoso giallorosso, in un impeto di sciovinismo, erano venuti in mente i nomi dei
giornalisti locali. Invece, purtroppo per loro, il premio andò a “tale” Solgenitsin.
Alla quinta giornata il Catanzaro, reduce dalle sberle di Como, ritorna sul prato amico del
“Militare”. L’entusiasmo, rispetto alla vigilia della gara con il Pisa, è un po’ scemato. Sugli spalti,
infatti, i presenti sono 4.000.
Nella formazione giallorosa, rientra l’atteso Busatta ed esce Marini, con Massari e Banelli
nuovamente schierati in coppia a terzini.
Ospite di turno è il Taranto dell’ex Paolo Cimpiel, portiere nella stagione 1967-68, dai capelli
“rossobiondi”, fischiato e preso in giro (ma mai offeso), così come si fa con un vecchio amico (agli
ex, si sa, fa parte del rituale dire qualcosa di irriverente, sennò che tifosi si è…). Il portiere, un
grande istrione, saluta con la manina e sorrise agli amici-nemici sugli spalti.
Nell’animo dei giallorossi c’è il proposito di riscattare l’ultima brutta prestazione di Como e di
riprendere il cammino interrotto. Tutto bene nel primo tempo. Tanto che al 23° il Catanzaro è in
gol: Braca entra in area con il suo lento incidere palla al piede, è in posizione decentrata, eppure si
guadagna un rigore. Va sul pallone Gori. Il tocco è della libellula. Ed è rete. Sembra fatta. Ancor
più quando quattro minuti dopo si presenta la grande occasione per chiudere la partita: Mammì
calibra un preciso cross per Braca, il colpo di testa è perfetto e s’insacca alle spalle di Cimpiel.
L’arbitro, però, annulla con decisione per un presunto fallo dello stesso Braca. Nella ripresa, dopo
la bella canzone della “facciata A”, sul retro del disco si registra invece una brutta solfa: un
Catanzaro quasi rinunciatario (per non dire abulico) e Cimpiel che passa momenti tanto tranquilli
che ad un certo punto pensa di andarsene a Soverato a fare un bagno autunnale. Il Taranto, da parte
sua, attacca con insistenza, e al 27° raggiunge infine il pareggio con l’ala sinistra Berretti (in
giornata di particolarissima vena) che di testa batte Pozzani che prova a fare il miracolo ma non ci
riesce. Gli ultimi minuti vedono ancora il Catanzaro in attacco ma ormai la sveglia è giunta in
ritardo e la difesa ospite fa buona guardia. Finisce con un 1-1 che lascia l’amaro in bocca ai tifosi e
allo stesso Seghedoni che cercava i due punti per continuare un certo discorsetto nell’alta
classifica.
Dopo la brutta prestazione contro il Taranto, il calendario presenta per il 25 ottobre il derby
Reggina-Catanzaro. Catanzaro e Reggio Calabria vivono ancora momenti di fortissimo contrasto.
Dopo un estate calda, con incidenti, morti e feriti, è ormai scoppiata una vera e propria rivolta
dalle dimensioni abnormi. I reggini sono in assetto di guerra. Parlare di derby in queste condizioni
non è proprio il caso e si rimanda l’appuntamento calcistico a tempi migliori.
Nel frattempo, le altre squadre muovono la classifica. Mentre il Catanzaro, un solo punto negli
ultimi tre turni (naturalmente con una partita in meno), splende ora di una luce meno scintillante.
Mammì numero 10, un falco che tira a sé la preda con gli artigli
Dopo la sosta forzata per il rinvio del derby, alla ripresa delle ostilità il calendario presenta per la
squadra giallorossa il Palermo dello stimato ex Carmelo Di Bella, formazione già bastonata di
brutto in Coppa Italia.
Seghedoni ripresenta l’esperto Marini (al posto di Massari) e per la prima volta schiera dall’inizio
il bravo Ciannameo che prende il posto di Gori relegato in panchina (ma che poi entra a metà
ripresa). Assente per infortunio il regista Franzon, si registra l’esordio stagionale in campionato del
redivivo Musiello con la sua vecchia maglia n. 9 mentre Mammì indossa nella circostanza la n. 10
con il compito di seconda punta centrale. Questo numero di maglia non evoca ai tifosi giallorossi
Pelè e Rivera ma è solo la conferma della fantasia di Seghedoni che vara così un altro Catanzaro
inedito.
I giallorossi partono alla grande e già all’8° vanno in gol: scorribanda di Angelo Mammì in area
sulla sinistra e tiro da posizione angolata, deviazione del libero Landri e pallone che s’infila tra il
palo e il portiere rimasto a bocca aperta quando era già pronto alla presa. Autorete ma applausi e
meriti sono tutti per Mammì.
Il raddoppio al 17°: Braca contro Landoni in area, finte e controfinte del catanzarese, solito passo
breve, palla in avanti e scatto per superare in corsa l’avversario, colpo d’anca del rosanero, rigore.
Dopo le proteste di rito, tira lo stesso Braca, angolino e rete, 2-0.
Il terzo gol arriva nella ripresa, al 15°. Eccolo nella descrizione dell’inviato speciale del “Corriere
dello Sport”, Ivo Bocca: “Servito da Musiello, tira Braca; Girardi para ma non trattiene, palla
che balla a quindici centimetri dal gol e Mammì, con i piedi già oltre la linea, la porta dentro
come un falco che tira a sé la preda con gli artigli”. Davvero un capolavoro di… rapacità. Per
Angelo, è questo il secondo gol in campionato dopo quello della giornata inaugurale rifilato al
Novara. E ancora Mammì segna un quarto gol dall’esecuzione magistrale: “bel cross di Banelli e
gran tuffo a pesce, colpo di testa magnifico e palla in rete. Ma Mammì era in fuorigioco insieme a
Gori, e l’arbitro, che ha ben diretto, giustamente dice di no”.
Restò, comunque, questo gol annullato come un nuovo piccolo saggio delle qualità acrobatiche del
centravanti giallorosso. Un simile tuffo a pesce, nel campionato successivo, diverrà memorabile.
Amnesie bergamasche
Dopo la convincente prova offerta contro il Palermo, il Catanzaro è ospite a Bergamo
dell’Atalanta, una delle squadre più forti del campionato e con il proprio portiere, l’anziano ex
juventino Anzolin, imbattuto dall’inizio del campionato. Nelle fila giallorosse, assente Banelli,
ecco il rientro del combattente Massari. Per il resto, la formazione è la stessa che ha appena
stravinto contro i rosanero. Angelo Mammì indossa ancora una volta il n. 10.
Per la compagine di Seghedoni, dopo le feste infrasettimanali per la bella vittoria sulla formazione
siciliana, è pronto però un brutto e amaro risveglio. L’Atalanta gliele suona di brutto, senza tregua,
senza pietà. Un po’ com’era successo la sera prima a Nino Benvenuti, idolo italiano della boxe. Un
pugile che era già un mito, che sembrava indistruttibile ed imbattibile, le aveva beccate a più non
posso da Carlos Monzon, un indio argentino sconosciuto ai più, più una belva che un uomo, che
così gli aveva portato via il titolo mondiale. Una disfatta che sui televisori in bianco e nero era
sembrata ancor più grigia.
Ma riecco la partita: l’Atalanta parte a testa bassa come un ariete, con i giallorossi che tardono ad
entrare in partita, monelli riottosi con nessuna voglia di varcare la soglia della domenicale fatica.
Nei primi sette minuti i nerazzurri mettono su una girandola di corner, ben sette, alla media di uno
al minuto. Poi, all’8°, arriva il gol: il terzino Maggioni parte dalle retrovie, scambia con Doldi,
arriva sul fondo, crossa al centro, raccoglie lo stesso Doldi solo soletto, tiro imparabile e gol.
Pian piano, poi, con Seghedoni a spingere di qua e di là, il Catanzaro entra in partita, tanto che “la
sensazione nell’intervallo” come scriverà il “Corriere dello Sport”, “è che il Catanzaro ce la possa
fare a rimettere la partita su binari più logici”. E, infatti, la ripresa vede i giallorossi più volitivi e
intraprendenti. Ma ci pensa l’arbitro Picasso a fermarlo, al 12°, con una pennellata d’artista: espelle
il libero Benedetto, con una decisione che a molti sembra inspiegabile ed assurda, un
funambolismo mentale. Sulla susseguente punizione, guarda un po’, arriva il secondo gol
atalantino. Leoncini pesca Pirola lasciato incustodito come un ombrellone a mare quando si va a
fare il bagno. Pirola, senza star troppo a… parlare, a sua volta pesca Doldi lasciato anch’egli solo
(come già in occasione della prima rete) al limite dell’area. Per l’ala sinistra è un giochetto da
ragazzi deviare in porta e siglare il raddoppio. Seppure sotto di due gol e in dieci uomini, il
Catanzaro però non si arrende, producendosi in un assalto all’arma bianca e arrivando ad un passo
dal gol. A tre minuti dal termine i giallorossi ottengono anche un ineccepibile rigore che Braca,
banalmente, manda ben oltre la traversa, tanto da finire a Bergamo Alta. Due minuti dopo, al 90°,
altra distrazione difensiva e terzo gol atalantino con Vallongo che spedisce da pochi passi in rete
un cross dell’indisturbato Doldi. Come dire, si passa da un’onorevole sconfitta per 2-1 a quella che,
nei numeri, ha tutti i connotati della batosta. Insomma, i sogni muoiono all’alba e la grande
squadra sognata ad inizio torneo sembra essersi dissolta nel nulla. Sugli spalti, a fine gara,
disappunto, delusione e qualche lacrimuccia da emigrante deluso ridicolizzata dai criticonzi di
turno. Lacrimuccia lieve, umile e da classe culturalmente subalterna come quella di appartenenza
dei tifosi (secondo i tuttologi). Lacrimuccia generata da passione sportiva e che dovrebbe meritare
compassione sociale (sempre secondo i tuttologi). Ma più sincera delle tante coccodrillesche che in
molti nel mondo, il lunedì successivo, gli stessi giornali fanno finta di piangere per la dipartita di
Charles De Gaulle, uno degli eroi che contribuirono alla vittoria degli Alleati sul Nazismo. Per lui,
mai nessuna maglietta alla “El Che”.