Benvenuti alla quinta puntata della rubrica dedicata ai protagonisti e alle partite più significative nella storia dell’US Catanzaro. In questa occasione, rivivremo momenti chiave attraverso la testimonianza di Costanzo Celestini, con la riproposizione di un’intervista del 2014.
È un calciatore che ha trascorso gran parte della sua carriera nelle piazze più calde del Sud, giocando pure accanto a un grandissimo, per alcuni il numero uno di tutti i tempi ad aver calcato i campi di calcio, anche se più che correrci quasi ci danzava, con piedi che hanno creato l’impossibile. Costanzo Celestini, nato a Capri (Napoli) il 14 maggio 1961, mediano di temperamento e continuità, “cresce” ovviamente nel Napoli dove in due campionati gioca 13 partite. Poi, per “farsi le ossa”, è ceduto al Catanzaro. Quale fu l’impatto con l’ambiente giallorosso? “Innanzitutto, i migliori ricordi ce li ho della città e in particolare del calore dei tifosi, che ci seguivano in massa non solo in casa ma anche in trasferta. In tutti gli stadi d’Italia eravamo orgogliosi di giocare con tanti tifosi al seguito”.
Nel Catanzaro, stagione 1981/82, settimo posto finale, Celestini gioca 20 partite corredate da due gol. Gli episodi che ci racconta sono davvero tanti: “Sicuramente le partite in campionato contro l’Inter, soprattutto quella a San Siro dove pareggiammo 1-1. E poi le vittorie contro il Milan, in casa ma pure in trasferta, con il famoso gol di Bivi, di testa. E le semifinali con l’Inter in Coppa Italia, molto combattute, che perdemmo solo per la regola dei gol segnati in trasferta e fummo sfortunati perché meritavamo molto di più. Senza contare la partita in casa all’ultima giornata contro la Juventus, che vinse lo scudetto a Catanzaro. Ma la partita che ricordo di più e a cui sono legato è quella col Cesena in casa. Vincemmo 3-0 e segnai il secondo gol. Era il mio primo gol vincente in Serie A e non era certo il mio mestiere, quello di fare gol, giocando da mediano. Ricordo la mia esultanza, quando mi sono arrampicato alla rete di recinzione”.
La semifinale di Coppa Italia contro l’Inter (2-1 per i nerazzurri a Milano e 3-2 per i giallorossi in casa dopo i tempi supplementari con clamoroso, sfortunato palo di Sabato negli ultimi minuti) se la ricordano tutti, ma c’è dell’altro per Celestini. Fu lui, infatti, a sentirsi fischiare contro il rigore trasformato poi da Liam Brady che decise l’ultima gara di campionato, Catanzaro-Juventus 0-1, e consegnò lo scudetto ai bianconeri. Celestini, ha le idee chiarissime: “L’arbitro, il signor Pieri di Genova, fu troppo fiscale nel concedere il rigore. Ci fu un’avanzata di Marocchino sulla destra, mi pare, che entra in area, crossa, Paolo Rossi colpisce di testa e prende il palo, sul rimbalzo Fanna mi tira addosso e l’arbitro concede il rigore. Ma se andate a riguardare bene io non l’ho presa nettamente col braccio. Diciamo che è stata più spalla che braccio. Ma senz’altro non era un rigore evidente”. Senza contare poi la spallata in area di Brio che nel primo tempo schizzò letteralmente per aria Borghi, mentre Pieri faceva finta di non vedere.
A fine stagione Calestini torna a Napoli, dove resterà per altre cinque stagioni, con 104 presenze e due gol. E ci racconta: “Io per la verità chiesi di rimanere a Catanzaro. Il Napoli mi doveva riscattare e io pensavo che non esercitasse questo diritto, consentendomi di restare. Invece offrì il doppio, anzi quasi il triplo, se non ricordo male, rispetto alla cifra offerta dal Catanzaro. Mi avevano richiesto anche la Roma e la Fiorentina ma all’epoca comandavano le società e un calciatore non poteva scegliere tanto liberamente dove andare a giocare. A Catanzaro smantellarono la squadra e il “miracolo” dei giallorossi finì nel campionato successivo con la retrocessione, una cosa di cui mi dispiace ancora oggi. A Napoli sono stati anni splendidi, soprattutto dopo l’arrivo di Maradona. Sono stato sfortunato nell’ultima stagione, quella dello scudetto, perché mi ruppi il legamento crociato prima dell’inizio del torneo e potei giocare solo una partita in Coppa Italia. Avevo già disputato alcune gare negli anni precedenti con la Nazionale Under 21 di Azeglio Vicini. Poi Vicini arrivò alla guida della Nazionale maggiore e io col mio infortunio persi la possibilità di essere convocato, proprio nel periodo migliore della mia carriera”.
Nel campionato 1985/86, l’ultimo da titolare fisso, avrà occasione di assistere, giocando con un’insolita maglia numero 11, a tanti gol “impossibili” che Diego Armando Maradona segnò durante la sua permanenza in Italia, ma ad uno soprattutto. È la punizione in area che il “pibe de oro” segnò in Napoli-Juventus 1-0, il 3 novembre 1985.“Era difficilissimo fare quel gol. Solo uno come Diego poteva segnarlo. Ma posso assicurare che è quasi niente rispetto a quello che gli vedevamo fare in allenamento. Cose strepitose”. A fine stagione, Maradona segna al Mondiale il gol più famoso del pianeta, scartando in velocità mezza Inghilterra e poi diventa Campione del Mondo con l’Argentina. Un segno del destino.
Dopo il ritiro dal calcio giocato, nel 1995, da allenatore Celestini ha lavorato soprattutto in Liguria, fra i dilettanti. “Ora invece sto allenando il Verbano, in provincia di Varese, che gioca nel campionato di Eccellenza. Ma il mio punto di riferimento è la mia isola natale, Capri. Terminata questa nuova avventura, si torna a casa”. Che altro dire? Ah sì: beato lui.
AURELIO FULCINITI