Un episodio che ha lasciato il segno, dentro e fuori dal campo. Gli scontri che hanno fatto seguito alla partita tra Brescia e Cosenza dell’1 giugno 2023 – decisiva per la retrocessione delle rondinelle in Serie C – sono finiti al centro di un procedimento giudiziario imponente: 94 tifosi imputati, accuse gravi e ora la costituzione del Ministero dell’Interno come parte civile, con una richiesta di risarcimento da un milione di euro per danni materiali e di immagine.
Un procedimento che accende nuovamente i riflettori su un tema caldo del calcio italiano: il confine sempre più labile tra passione e violenza.
Il contesto: una partita, una retrocessione e il caos al “Rigamonti”
Lo scenario è lo stadio Mario Rigamonti di Brescia. L’1 giugno 2023 si disputa il ritorno dei playout tra Brescia e Cosenza. La gara decreta la retrocessione del Brescia in Serie C, poi rientrata con un successivo ripescaggio. Al triplice fischio, la tensione esplode: centinaia di tifosi invadono il campo, si verificano scontri con le forze dell’ordine, danneggiamenti, lesioni e una scena che rimbalza per ore su televisioni e social.
È da quel momento che prende forma il fascicolo oggi approdato in aula.
Il processo: 94 imputati e quattro diversi percorsi giudiziari
Il Ministero dell’Interno ha scelto di costituirsi parte civile nel procedimento, chiedendo un risarcimento da un milione di euro. Una cifra calcolata – si legge negli atti – anche sulla base del danno d’immagine: 10 centesimi per ognuno dei circa 10 milioni di italiani che hanno visto le immagini dell’invasione e degli scontri.
I 94 imputati devono rispondere, a vario titolo, di:
- Resistenza aggravata a pubblico ufficiale
- Lesioni personali
- Danneggiamenti
- Invasione di campo
I percorsi processuali si dividono in quattro filoni:
- 2 imputati hanno chiesto il patteggiamento
- 32 saranno giudicati con rito abbreviato
- 50 hanno chiesto la messa alla prova
- 10 proseguiranno con l’udienza preliminare ordinaria
Il giudice per l’udienza preliminare, Federica Brugnara, ha aggiornato l’udienza al 6 novembre 2025.
Il Brescia si chiama fuori: Cellino non si costituisce parte civile
Una scelta che ha fatto discutere, ma che segue una logica ben precisa. Il Brescia Calcio, attraverso il suo presidente Massimo Cellino, ha deciso di non costituirsi parte civile nel procedimento. La motivazione? Evitare che la società diventi bersaglio di ulteriori tensioni, in un clima già teso con una parte della tifoseria da tempo critica nei confronti della proprietà.
Una mossa diplomatica che segna una distanza netta tra giustizia sportiva e giustizia penale, e che conferma quanto il contesto societario influisca anche su dinamiche processuali.
Oltre la cronaca: la responsabilità collettiva nel calcio moderno
Il processo sugli scontri di Brescia-Cosenza non è soltanto una vicenda giudiziaria, ma una cartina di tornasole di ciò che ancora oggi accade negli stadi italiani.
Il Viminale, costituendosi parte civile, ha voluto lanciare un segnale forte: episodi di violenza non possono essere archiviati come semplici reazioni emotive a un risultato sportivo. Il danno non è solo fisico, ma reputazionale per l’intero sistema calcio, e chi ne è responsabile deve risponderne anche in sede civile.
Il calcio ha bisogno di passione, non di violenza. E la giustizia deve restare vigile
Mentre il campo regala sogni, emozioni e rinascite – come dimostra lo stesso ripescaggio del Brescia – fuori dal campo si gioca una partita altrettanto cruciale: quella per la legalità, il rispetto delle istituzioni, e il diritto dei tifosi a vivere lo sport in sicurezza.
Il prossimo appuntamento è in aula il 6 novembre. Ma l’eco di quella sera del Rigamonti è ancora ben presente. E potrebbe segnare un precedente importante nella gestione della violenza negli stadi italiani.